Flaghéé150: gli scarponi del capo
C’è una storia nella storia, all’interno del nostro viaggio, di cui qualcosa è trapelato ma che in parte ancora è poco nota e riguarda i miei scarponi.
Qualche giorno fa Chiara, dopo averci incontrato in cima alla Grignetta, ha pubblicato sul web le foto delle mie povere calzature ormai ridotte ai minimi termini.
Sì, purtroppo i miei più fidati compagni d’avventura hanno raggiunto il loro punto di non ritorno. Il mio rapporto con le cose spesso è particolare, “Le cose che possiedi alla fine ti possiedono”, ma gli scarponi sono qualcosa per me più di un oggetto: in 10 anni mi hanno accompagnato attraverso i momenti più intensi della vita.
Erano con me a 6130 metri sullo Stok Kangri, hanno attraversato il Ladakh, il Kashmir e mezza India. Erano con me quando ho risalito il Lambro e quando sono andato in bicicletta in cima al San Primo. Li avevo ai piedi sulle spiaggie di Zanzibar tanto quanto attraverso la shamba della Tanzania o quando sono salito sul vulcano Hanang o ancora lungo le sponde del Tanganika. Erano con me ogni volta che andavo in montagna, quando ero con i ragazzi dell’alpinismo giovanile o quando ero a spasso con il mio nipotino.
Sì, erano ridotti maluccio, ma questo voleva essere il loro ultimo viaggio, il mio tributo per il tempo speso insieme, il loro degno funerale. La Grignetta ha inferto loro il colpo finale: con una torsione sulle rocce ne ha dilaniato la suola in un profondo squarcio. Un colpo mortale che solo in parte potevo arginare con “medicazioni” d’ermergenza: una gloriosa fine.
“Come partire per un lungo viaggio con le gomme lisce! Solo tu puoi farlo!!” mi ha detto qualcuno conoscendomi bene. Mi ha fatto sorridere perchè il viaggio dei Flaghéé ha un valore simbolico e non ha certo la pretesa di essere un’impresa alpinistica. Non siamo nè in Africa nè in Tibet, per sostiutire gli scarponi è bastato telefonare al Tino del Taurus e dirgli marca, modello e numero per averne un paio nuovo nel giro di un’oretta. No, non c’era incoscenza ma solo un grande affetto.
Io credo che difficilmente quello che ci accade avvenga per caso. Mentre camminavo con i miei scarponi ormai distrutti avevo molto da riflettere: scendavamo dalla Grigna lungo i sentieri che commemorano i partigiani della seconda guerra mondiale ed i Cacciatori delle Alpi guidati da Garibaldi nella seconda guerra di Indipendenza. Guardando i mei scarponi mi è tornata alla mente una massima popolare: “Mi batto con ciò che ho, mi batto per ciò che sono”.
Le nostre montagne oggi sono affollate dal meglio della moderna tecnologia alpinistica, materiali impensabili solo 50 o 60 anni fa. I miei scarponi stracciati mi davano il senso del tempo, la misura della forza di chi, in epoche diverse, ha vissuto, combattuto e sperato attraverso i nostri monti con ciò che aveva, con ciò che poteva: ribelli, spalloni, avventurieri e amanti della montagna.
Il passato racchiude una grande forza che spesso abbiamo dimenticato, cela una determinazione ed un caraggio che si rispecchia negli alti ideali di allora, vivi e brucianti, oggi spesso blanditi ed attenuati dalla comodità della vita moderna.
Grazie miei amati scarponi per tutti i passi battuti insieme…
Davide “Birillo” Valsecchi