Punch drunk from the punch clock
Tu non conosci il mio nome, hey tipo, tu non conosci il mio nome!! Dipingi un numero sulla mia testa, lavorami fino quando non sarò morto: non posso credere di aver sprecato tutti questi anni che ho vissuto. Un milione di giorni e notti per tutto questo dolore ed affanno, per tutto ciò che chiedo, per tutto l’odio ed i problemi. Tu non conosci il mio nome, hey man, tu non conosci il mio nome!! Disorientato come un pugile, suonato dai timbri sul cartellino del lavoro: l’opportnunità non busserà mai alla porta. Niente più colletto blu da proletario, tutti i sindacati diventano sempre più piccoli. Tu non conosci il mio nome, hey man, tu non conosci il mio nome!!
[Rancid – Name (1994)]
Quando sono arrabbiato, e capita solo quando sono quasi soverchiato dai problemi, accendo a tutto volume questa canzone del 1994 e mi metto a cantare con la stessa espressione di Robert De Niro quando interpretava Travis Bickle in Taxi Driver: l’espressione di uno che sta per esplodere!!
L’espressione “Punch drunk from the punch clock, opportunity never gonna knock” è fantastica e vorrei tradurvela. Il termine inglese “punch” si traduce con pugno, cazzotto, e caratterizza tutta la frase. Il termine “punch clock” è l’espressione inglese per indicare la macchina per “timbrare il cartellino” e “punch drunk” è un’espressione del pugilato che indica la sindrome che può insorgere nei pugili, la dementia pugilistica, i cui sintomi sono perdita della memoria, dislessia, difficoltà nell’ideazione, difficoltà ad effettuare movimenti di precisione ed alterazione della personalità.
Parafrasando il senso della frase (e perdendo le rime interne) diviene: quando sei frastornato, chiuso in un angolo e disorientato dai colpi che il lavoro e le difficoltà quotidiane ti scaricano addosso le opportunità non busseranno mai alla tua porta, “opportunity never gonna knock”, o forse più semplicemente non soprai coglierle.
“You don’t know my name”, tu non conosci il mio nome, urlato in una canzone rabbiosa gridata più per se stessi che per gli altri, è un modo per rimarcare a se stessi tutte le sofferenze e le difficoltà che sono già state sostenute. E’ un dialogo interno, una furiosa sfida a se stessi: “ricordati chi sei, a cosa sei già sopravvissuto!!”.
Due minuti e mezzo per trasformare la tristezza in rabbia, la rabbia in consapevolezza, la consapevolezza in determinazione, la determinazione in azione e reazione per non lasciarsi soverchiare passivamente dalle difficoltà: resilenza d’asporto in versione Ska-Punk.
Davide “Birillo” Valsecchi
Come vi ho detto in precedenza la resilienza in psicologia viene vista come la capacità dell’uomo di affrontare e superare le avversità della vita. Mi sentite parlare spesso in questi giorni di resilenza perchè sto collaborando, con il mio vissuto, le mie passioni, i miei viaggi ed il mio approccio “montagnino”, ad un progetto terapeutico che attraverso la scrittura ed il confronto possa aiutare persone in difficoltà psicologiche da dipendenze: insomma sto cercando di formalizzare la teoria “Kawabunga!!” per tirarsi fuori dai guai nei momenti di crisi.