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Bepi & the Prismas

Bepi & the Prismas

Bepi & the Prismas
Bepi & the Prismas

Prima di partire in canoa per Venezia la Bruna salta su: “Andiamo a Mandello che suona il gruppo di mio fratello? Cantano in bergamasco e fanno rock’n’roll!” Che dire, ho pensato: “Vabbè, si fa un giro al lago, incontriamo il fratello senza farsi menare, due canzoni e ci togliamo dai guai”. In effetti il bieco piano del Birillo era questo: qualche volta si deve anche cedere alla morosa visto che la pianto sempre a casa per mesi!!

Così mi ritrovo a Mandello ma scopro, con grande sorpresa, che il gruppo in cui milita il fratello di Bruna, Stefano “Animale da Cortile” Galli, ha una “certo” supporto a Bergamo (distibuiscono i CD con l’Eco di Bergamo!!) e quella sera si erano presentati oltre un centinaio di fan super accaniti venuti apposta dalla bergamasca: Mandello era invasa dalla tribù dei “pota né” che parla con un idioma simile al mio ma con tutte le “O” aperte, molto più delle nostre!!

Io ve lo devo confessare, i bergamaschi saranno anche “tagliati giù mica di fino” ma hanno una carica incredibile ed i BepiFan, i fan dei Bepi & the Prismas, hanno un tale genuino e positivo entusiasmo che è impossibile non esserne trascinati.

Alla prima canzone, di cui comprendevo solo alcune parole, mi si è stampato un sorriso in faccia e non ho più smesso di ridere e saltare: mi sentivo come quando a sedicianni andavo ai primi concerti su per le valli, una festa come se non se ne vedevano da tempo!

Il rock’n’roll condito di bergamasco racconta storie di vita, di paese e di quell’ingenuità che appartiene alle valli e all’adolescenza. Tutto attorno a me persone di tutte le età che saltano e cantano ridendo mentre il Bepi, un personaggio che ha il grande pregio di essere se stesso, trascina tutti in una grande festa. Quando, con il casco in testa ed il gilet di pelle, attacca con “MOTO GUZZI ROCK’N’ROLL” tutta Mandello esplode!! Un frullatore di gente che saltava cantando!!

Non solo siamo rismasti oltre le prime due canzone ma ci siamo goduti tutto il concerto e, quando ce l’occasione (ovviamente… solo per far contenta Bruna!!), scarpiniamo su per le valli per andare ad ascoltarli. L’altra settimana siamo stati a Rovetta, paese del Bepi, dove si è tenuto il Sesto BepiRaduno. Eravamo nella tana del lupo e tutto il paese era in festa grande. Dopo un gruppo di signore che si è esibito in canti tradizionali (espressamente invitate dal Bepi!!) è partito il concerto e non ce ne è stato più per nessuno!!

Per capirci: a metà concerto è partita una canzone molto rock con una lunga parte di coro, il Bepi ha diviso il pubblico in under40 e over40 facendoli cantare a turno. Gli under40 si sono fatti sentire per tutti la valle ma gli over40 erano un rombo!! Una cosa magnifica vedere come tutti erano coinvoilti in un unica enorme festa.

Sul palco poi è salito Mario Poletti, eroe dello SkyRunning sul Sentiero delle Orobie: una folla in delirio ha accolto il più genuino e solare dei suoi atleti. Mentre Mario insieme al Bepi canatava “Erba e Néf” raccontando di stelle alpine, di caprioli sopra le cascine e corse in montagna, dell’Albani e del Coca tutti urlavano ed applaudivano. Io mi sono sciolto, commosso come un bambino invidiando l’identità di quella gente allegra che omaggiava “uno dei loro” gridando “Ott Cinquantadu e Trentun”, il tempo record del sentiero delle Orobie.

Poi è stata la volta di “Gleno”, una canzone dedicata alla terribile tragedia che sconvolse la valle vicina ad inizio del ‘900. Il Bepi e le associazioni locali hanno recuperato le foto dell’epoca e le interviste ai sopravvisuti, ormai anziani, perchè la memoria non vada persa. Era un momento triste in mezzo ad una grande festa ma sembrava che tutti sapessero che era qualcosa che andava fatto, avrebbero ripreso a cantare a squarcia gola alla canzone seguente ma quello era il momento del ricordo, della memoria ed è stato molto intimo ma allo stesso tempo duro, vissuto con emozione ma fermezza.

Poi “Remigio”, le vicende di un giovane bergamasco che, dopo aver studiato a Milano, ha perso il proprio accento e che, grazie alla sua cadenza ora neutra, riesce a lavorare in televisione dove la regola è chiara: “in TV van bene tutti ma berghem no”. Ma il buon Remigio un giorno intervista un suo paesano e, trascinato dalla propria lingua, comincia a parlare bergamasco in diretta mentre registri e produttori cercano di staccare tutto. Il ritornello, tripudio della canzone, recita “dal volt al bas me resti bergamasc” e vedere duemila persone cantare “se stessi” con le mani alzate  era una vera emozione. Meraviglioso!

Ho trovato una versione acustica in un teatro di “Erba e Néf” che vorrei farvi sentire: Grande Bepi, grande Bergamo!!

Davide “Birillo” Valsecchi

Operazione: Bèrghem de üra

Operazione: Bèrghem de üra

SantAgostino
Sant'Agostino

Chi è Bruna? Bruna è un maschiaccio bergamasco intrappolato nel prorompente corpo di una bisbetica femmina bergamasca. Oggi è il mio “contatto sul territorio” per dare l’assalto alla città fortificata dei muratori erranti più famosi al mondo: Operazione Bèrghem de üra (Bergamo Alta)

Il piano d’incursione parte da Est, li attacchiamo alle spalle, dallo stadio lungo la “Morla”, risalendo per l’Accademia di Carrara lungo le scalinate di “via della noca”, ribattezzata a pennarello dai locali “via della gnocca”.

Da questo lato il  dislivello tra città alta e città bassa è di solo un centinaio di gradini, come andare dal comune di Asso in piazza della chiesa. Sull’altro lato la salita è più lunga tanto da avere una piccola funicolare. Si dice che il nome Bergamo derivi dal tedesco “Berg”, montagna, e  “Heim”, casa: la casa sulla montagna, poi latinizzato in Bergomum.

Tutta la città è circondata da bastioni ed accessibile solo attraverso le porte,  quando raggiungiamo quella di Sant’Agostino il mio stupore è completo di fronte a niente meno che un inaspettato Leone Alato di Venezia. Il mio ruolino di missione non mi aveva informato che la città era entrata a far parte della “Serenissima” nel 1428 e che per tanto era pregna delle effigi della città sull’acqua che da poco avevo visitato.

Il mio stupore non si acquieta nemmeno quando supero le mura: la città è invasa!! Tra le vie si sente, oltre all’accento chiuso dell’idioma bergamasco, solo una moltitudine di gruppi stranieri che parlano russo. Io e la mia “guida” ci inerpichiamo lungo le vie che salgono al cuore della città vecchia, all’Università, al Duomo e al Palazzo della Regione. Un vento capriccioso spazza le nuvole nel caldo di un assolato pomeriggio invernale. Cielo azzurro e nuvole bianche per noi oggi.

Una sosta veloce al “Circolino” e su, fino alla rocca per conquinstare la città. Qui, sotto la bandiera tricolore, fanno la guardia vecchi pezzi d’artiglieria ed un vecchio “carro armato” giallo. La vista dalla terrazza è incredibile. Bergamo è una penisola montuosa che si affaccia sull’orizzonte piatto della pianura. Si riescono a scorgere gli appennini e ad Est  sul promontorio del Monte Orfano che affianca l’autostrada per Brescia si vedono i lampi di un temporale che avanza ad oltre 50Km di distanza. Uno scorcio tanto vasto quasi spaventa il piccolo montagnino che è in me. Abituato ad avere l’orizzonte delle proprie speranze dietro la prossima montagna, dietro la prossima collina da conquistare. Dove andare in questa vastità?

La mia guida mi scuote dall’incanto di quella pianura che si estente a perdita d’occhio. Abbiamo un altro obbiettivo da conquistare. Scendiamo di nuovo tra i vicoli ed usciamo dalle mura a Nord, verso colle aperto. Diamo l’assalto al Castello di San Vigilio.

Una volta lassù, superati gli stretti corridoi tra i contrafforti della fortificazione, il panorama è ancora più strepitoso. Guardando verso Ovest rivedo un vecchio amico: il Resegone. La montanga che domina Lecco e che da questo lato mostra la sua natura dolce ed i prati innevati che si nascondono dietro la dura facciata che ci mostra di solito.

Il sole scende all’orizzonte e le vie si riempiono di gente in caccia tra i negozi del centro storico aperti per i saldi. Tempo di evacuare il campo e rientrare alla base, missione compiuta. In macchina comincia a cantare Jim Morrison mentre spaventato e spaventoso come un fantasma invisibile mi aggiro tra gli sterminati viali di Dalmine ed il suo feudo industriale. “Show me the way to the next whiskey bar. Oh, don’t ask why. I tell you, I tell you, I tell you we must die”. Una rotonda dopo l’altra avanzo perso in quest’orizzonte che brucia. “Ho paura di questa giungla di case tutte uguali, portami via di qui, portami via, Bruna. La mia missione qui è finita, portami via!!”

Se andate a Bergamo fate attenzione quando calano le tenebre, se vi siete imbottiti di pizza con “tonno, würstel e cipolla cruda”, potreste cominciare ad avere allucinazioni incredibili lungo le strade di quel mare piatto!!

Davide “Birillo” Valsecchi

[Curiosità] Etimologia della parola Magut
La parola ha una nobile origine derivata dalla Fabbrica del Duomo di Milano. Nei libri contabili della costruzione, il capitolo di spesa della monodopera , era rappresentato da un registro in cui a fianco della mansione e del corrispondente nome, venivano segnate le ore di lavoro effettuate dai maestri a muro. I primi dell’elenco, erano naturalmente le figure più importanti ed ad essi veniva associata la mansione descritta per intero “Magister Fabricae”, quelli seguenti, allo scopo di abbreviare la descrizione, venivano indicati con la contrazione “Mag.ut” (Magister ut supra=maestro come sopra).

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