La vecchia Valassina
«Vaa a trùhaa ul nono che lè sù al Valasina!»«va a trovare il nonno che è su al Valassina» É certo che ci andavo! Dopo il bacio sulla guancia, di rito, c’era sempre o il ghiacciolo alla menta o la gazzosa o, se ero fortunato, tutti e due.
E allora giù di corsa per la strada che da dietro il cimitero mi portava in paese passando davanti al consorzio, da lì imboccando la strettoia si sbucava davanti al cafferino del signor Vittorio dove spesso trovavo mio padre che parlava e beveva con gli amici, poi di nuovo su per la via principale del paese per altri 80 metri. Ecco ero arrivato. Eccomi al Valassina!!
Prima di entrare aspettavo sempre un paio di minuti davanti alla porta per farmi coraggio, ero pur sempre un bambino di 7/8 anni e mi preparavo ad entrare nell’ultimo baluardo assese dedicato esclusivamente agli uomini. Un bel respiro e poi aprivo la porta e salivo per quei cinque scalini, venivo subito invaso da fumo di sigarette senza filtro, toscani e profumo di dopobarba, di quello che usava solo il Leandro, dal nome tipo “milliers de fleurs”; i nonni sapevano tutti di quello!!
Un vociare assordante fatto di grida, bestemmie ed imprecazioni varie mi stordiva mentre cercavo con lo sguardo di individuare mio nonno Carletto che si trovava da qualche parte lì in giro, il problema era appunto trovarlo e soprattutto raggiungerlo quando lo vedevo. Dovevo passare infatti tra i tavoli dove si giocava a carte, se la partita era tesa non venivo neppure notato ma se gli avventori si stavano annoiando ed erano attenti venivo fermato ad ogni tavolo per le solite pacche sulla testa o le tirate di orecchie in segno di benvenuto al grido di “uhee Santambrosin se feet chi ?”. E poi giù “patoni” come se piovessero! Io ero onorato di tutto questo interesse per me, un po’ meno la mia testa e le mie orecchie!!
Fatto il bacio di turno stavo lì buono buono fino a quando il nonno capiva che mi stavo rompendo ed allora mi diceva “ thee… tal voot ùl ghiacciol? “. Al mio gesto di consenso partivo come un razzo al bancone del bar dove come un commodoro al timone della sua nave in posa solenne stava il Gianino, re indiscusso di quel regno.
Io che non riuscivo nemmeno ad arrivare al piano del bancone dovevo mettermi in punta di piedi con le cento lire in mano e agitandomi come un indemoniato cercavo di farmi vedere dal Gianino. Non che non mi vedesse ma si divertiva ad ignorarmi o a farmi ripetere quello che volevo per almeno 10 volte con la scusa che con tutto quel rumore non ci sentiva!
Alla fine, ottenuto il tanto agognato premio, mi mettevo a girare per la stanza apprendendo nuove bestemmie al ritmo di una ogni leccata di ghiacciolo.
Quando l’estate diventava troppo calda il popolo del Valassina si spostava al campo di bocce che si trovava a pochi passi dal cortile interno, in una zona con un po’ di piante e ben ventilata, dunque fresca. Qua le bestemmie lasciavano il posto a urla del tipo “ boccia al volooooooo……puntoooo! Segna e taas, imbesuiiii! “. Grandi schiocchi e silenziose rullate di bocce che non arrivavano mai a destinazione, lanciate con precisione chirurgica da nonni cecchini che dopo la terza mista (spuma con il vino) diventavano dei novelli campioni.
La zona era formata da quattro campi da bocce in fine sabbia e alle estremità gli assi di legno per fermare i tiri troppo potenti fatti da nonni agitati che si giocavano il tutto per tutto con l’ultimo colpo alla nitroglicerina. Quando in un campo si giocava la partita finale e l’ultimo tiro era quello che decideva il risultato, tutti gli sguardi si spostavano sul campo interessato. Allora anche il vociare si placava per qualche interminabile secondo e tutti attendevano in religioso silenzio l’esito.
Poi il nonno partiva con una classe e una la leggerezza degna di un ballerino classico con la mano abbassata che si alzava man mano che faceva quei due o tre passi, poi la boccia sciabolava nell’aria e il ciocco lo si sentiva a più di cento metri di distanza. Se il punto veniva fatto e la partita vinta c’era un’ovazione degna di uno stadio con tanto di applauso, mentre se il nonno “ciccava“ partiva una ola di mani che imprecavano e relative bestemmie al seguito.
Poi tanto finiva sempre allo stesso modo: nonni vincitori e nonni vinti andavano dal Gianino e brindavano con la mista o si disfavano di acqua e Cinar dato che d’estate il rosso era vietato per un semplice motivo: Il Gianino come rosso usava il Manduria in cui, per via della sua gradazione alcolica, ci potevi mettere dentro un coltello che rimaneva in piedi da solo dal gran che era spesso e alcolico, ma i nonni erano quasi tutti reduci di guerra e non bevevano altro.
E così al Valassina tra una briscola e una partita alle bocce si passava il tempo. Senza dimenticare le epiche mangiate serali dove mio padre mi portava in alcune occasioni del tipo riunione soci pro loco o pescatori o qualsiasi altra cosa servisse per avere la scusa di mangiare con gli amici.
L’Edvige dava prova di tutto il suo talento culinario, spignattando dietro i fornelli con l’abilità di una grande chef. I suoi piatti forti, accolti sempre con grandi plausi, erano il gatto in salmì e le balle di toro, roba che a me faceva pure schifo ma dato che la mangiavano i grandi non potevo essere da meno se volevo diventare come loro!
Così ad ogni boccone rigiravo questi “manicaretti“ in bocca per delle decine di minuti fino a quando mio padre con uno scapellotto non me lo faceva ingoiare.
Ricordo ancora con nostalgia quelle giornate al Valassina e non solo perchè lì ho preso le mie prime piccole ciuche al grido di “schiàà bef giò un guten che ta se li smort mè su nòò cusèè!” ma anche perchè ormai le persone che ricordavo con affetto sono scomparse e la stessa Valassina non è più quella di quei tempi.
Ha cambiato diverse volte gestione diventando un ristorante “tipicamente di lusso“ dove ancora troneggia il bancone bar in stile liberty, raro esempio di come lavoravano i nostri mobilieri. Sono cambiati gli avventori e al posto di fumo e bestemmie ora si sente parlare di new economy o di business e al posto delle manate sui tavoli si sentono solo il rumore composto delle posate.
Sono tornato a volte a mangiare lì e stando seduto al tavolo mi sono rivisto la sala piena di gente, io in piedi davanti a mio nonno a osservarlo mentre giocava a quei giochi con le carte che non sono poi mai riuscito ad imparare!
D’altronde tutto finisce e tutto cambia, l’unica cosa positiva di tutto ciò è che almeno la trattoria Valassina, antica gloria, non è diventata un garage o un appartamento come molte realtà di Asso.
Diciamo che si è solo cambiata di abito per adeguarsi hai tempi e non morire!
Beh… che dire. Auguri Valassina, ovunque tu stia andando in Bocca al lupo!
Con Affetto, Enzo Santambrogio