Alba Tropicale
Ieri sera sono sprofondato nel mio letto subito dopo cena. Cotto dal caldo e dalla fatica, avevo la schiena a pezzi e mi sono addormentato dopo aver appoggiato la testa e chiuso gli occhi. Quando li ho riaperti erano le tre di notte e tutto era ancora buio: visto che ero sveglio ho puntato la sveglia.
Quando il mio cellulare ha cominciato a vibrare erano le sei del mattino e dalle finestre cominciava a filtrare la prima luce. Ho infilato i calzoni e sono uscito.
Tutto è quieto all’alba, tutto sembra immobile ma in realtà tutto comincia a muoversi sempre più velocemente. Ogni volta che vedo il sole sorgere in Africa rimango sorpreso da come le nuovole comincino a muoversi in fretta, quasi scappano, all’arrivo dei primi raggi di luce. “E’ per via dell’effetto termico” mormora la mia irritante e saccente vocina interiore mentre, distratto, ascolto gli uccelli che si chiamano tra loro in mezzo ai cespugli del giardino.
Cammino lungo le tavole di legno del pontile di Babu Albert e sono di nuovo in mezzo al mare. Le imbarcazioni dei pescatori sono già in viaggio, spinti dal vento del mattino stanno superando la bariera per pescare nell’oceano.
Mi siedo ed aspetto. Sono le sei e ventitrè quando il primo incandescente filamento di luce rossa appare all’orizzonte. Provo a fargli una fotografia con la mia piccola ed ammaccata fotocamera digitale ma, sebbene sia stata con me a seimilametri in Ladakh, non ce la fa a sostenere lo sguardo del nascente sole africano. Tutte le foto si riempiono di luce abbagliante: fogli bianchi pronti a raccogliere la storia di un giorno ancora tutto da scrivere.
Prima o poi avrò una macchina migliore, intanto lascio che siano i miei occhi a godersi lo spettacolo. Poi il cielo forse si accorge di come mi fossi alzato apposta per immortalarlo e, quasi per aiutarmi, spinge un po’ di nuvole là davanti, a coprire un po’ l’irruenza del sole. Tolgo gli occhiali e con le lenti copro il piccolo obbiettivo Zeiss cercando di aiutarlo a reggere la sfida quanto basta.
Qualche scatto buono ci riesce: ti maltratto da tre anni, sei piena di graffi ed ammaccatture ma sei stata brava ancora una volta, mia piccola compagna di avventure.
Tutto avviene in meno di due minuti. Il sole, quando si sveglia, fa sempre in fretta a mostrarsi ed ora è là, già alto sull’orizzonte mentre si lascia guardare da un mondo accecato. Rinfilo gli occhiali, ripercorro il pontile e comincio a salutare le guardie che, stravolte, si risvegliano del turno di notte stiracchiandosi nel loro improvvisato giacilio.
Mi infilo in mensa, mentre Chefu è già all’opera e mi urla: “Karibu!! Madawa, fundi chuma?!” Che significa più o meno “Benvenuto!! Medicina per l’artigiano del ferro?”. Gli faccio segno con la testa mentre il collo mi fa ancora male: “Ndiyo Chefu, Kahawa!!”. Sì Chefu, caffè!!
Davide “Birillo” Valsecchi