Quando ero bambino in casa mia i fumetti di Tex erano chiamati “La Cultura”, era impensabile andare in vacanza senza una buona scorta di albi, ristampe e raccolte da leggere sul terrazzo fuori la veranda, aspettando il pranzo dopo essere tornati dal bosco in cerca di funghi nella calura estiva.
Tex Willer, che ha più o meno una quarantina d’anni, tiene banco con la sua storia nelle edicole da oltre 67 anni ed ormai è un icona, un piccolo grande maestro il cui pensiero ha attraversato le generazioni di questa nostra distratta Italia quasi immutato.
Assomiglia al “Grinta” di Jhon Wayne ma ha una grandezza ed un umanità inarrivabili. E’ un “bianco” ma non un Texano razzista, un ranger che si batte per la legge dello Stato ma anche orgogliosamente a capo di una tribù di pelle rossa e spesso ricopre il ruolo di grande mediatore sia tra le tribù che con il governo. Rivoluzionario e reazionario allo stesso tempo, è dotato di una personalità gigantesca, un uomo profondamente radicato nel mondo che lo circonda, pronto tanto alla pace quanto allo scontro.
La legge è al di sopra di tutto ma al di sotto di ciò che lui considera giustizia, la legge è la regola ma, caricandosi il peso delle proprie responsabilità, ci si può spingere oltre. Ogni uomo è padrone del proprio destino e decide la propria strada, a qualunque costo e pagando il prezzo pieno delle proprie azioni.
Questo sconvolge di Tex: è il più pacifico ammazzasette in circolazione eppure rimane sempre e comunque una persona universalmente considerata buona o quanto meno giusta. E’ vero, lui uccide simbolicamente idee più che persone vere ma il suo approccio, anche quando moderato, è limpidamente diretto ed accettato. Questo perchè la sua figura si muove in un mondo violento, in rapido cambiamente e lui, sebbene mai malinconico o affranto, emerge da un passato di sofferenza e tragedia affrontando il proprio presente con la decisione di chi può solo andare avanti.
Tex ha perso la moglie, ha perso il padre, ha perso il fratello. Sebbene poco noto prima di diventare un ranger aveva abbandonato il ranch di famiglia litigando con il fratello, si arrabbattava come poteva e, prima di sposare l’amata indiana che diede alla luce suo figlio, era spesso ricercato come fuorilegge per essersi fatto giustizia da solo. Tex non ha una casa, non ha più radici se non quelle forti con il villaggio che lo considera capo. Passa la vita come un vagabondo battendosi per la propria patria, il governo, e la propria nazione, quella Navajo.
Eppure non è uno di quegli eroi moderni, decadenti, distrutti dalla sofferenza, sconfitti dalla vita e quindi pronti ad immolarsi per la causa nella scena finale solo per sentirsi accettati. Tex ride, si fa un paio di birre, si fuma una sigaretta dopo una bella bistecca ed è pronto a sifdare nuovamente le fiamme dell’Inferno. Questa è la grandezza assoluta di Tex: lui è convinto ancora di poter vincere, di poter far trionfare i suoi ideali.
Eppure noi sappiamo come diverrà l’America, che fine faranno i pelle rossa e quanto lontano dall’imminario del “ranger” diverrà il mondo ma nonostante questo ancora crediamo in Tex, forse meno illusi, ma è impossibile non voler bene a quel “Satanasso”. Forse il mondo avrebbe potuto essere diverso se Tex fosse esistito, se una squadra di amici, i Pards, si fosse battuta per la cosa giusta. Chissà.
Quello che è certo è che Tex, sebbene nato in Texas, pensa all’italiana e la sua morale, la sua etica e la sua visione del mondo sono radicate nella nostra. Gli americani hanno il “Grinta” ma le differenze sono notevoli!!
Un altra figura del Far West che mi ha sempre affascianto e che purtroppo oggi è spesso dimenticata è Jack Crabb, il fantastico personaggio interpretato da Dustin Hoffman in {it:Piccolo_grande_uomo|”Piccolo Grande Uomo”}, un film che andrebbe visto molto più spesso. Hoka Hey! Oggi è un buon giorno per morire!
Davide “Birillo” Valsecchi