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Racconti di un pellegrinaggio Tibetano

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Püsséé in sü

Püsséé in sü

Una preghiera nel vento
A volte mi capita di essere travolto da un dejavù, una sensazione stranissima che mi dà un improvviso senso di vertigini e mi confonde la visione del mondo. Spesso mi pare di vivere qualcosa che ho già visto nei sogni ma altrettanto spesso mi succede quando un numero incredibile di coincidenze, a cui non credo, mi si manifestano tutte assieme davanti lascandomi stupisto e sconcerto dalle trame complesse della vita.

Prima di partire abbiamo chiesto al Signor Caronti, titolare dell’azienda PuntoComo, di realizzare una preghiera di stoffa utilizzando le tecniche ed i vecchi telai di Gegia Bronzini, una delle più famose artiste tessili comasche del passato.Volevamo qualcosa di veramente rappresentativo per il tessile comasco in grado di ribadire la nostra tradizione. Al progetto ha partecipato anche la signora Lalla Borzatta che ha coinvolto anche il vulcanico e carismatico fratello Riccardo Borzatta, famoso poeta dialettale comasco.

Il risultato è una bandiera di stoffa molto speciale che mischia tessuti diversi e filati metallici su cui è riportata una poesia nel nostro dialetto. Ero molto felice di avere partecipato alla creazione di quest’oggetto e mi lusingava l’idea di portarmelo in cima ai monti.

Prima della nostra partenza è però successo un evento molto triste che ha toccato molto profondamente la città di Como, è venuto a mancare, travolto dalla malattia, “Gianni del Sociale”, il titolare di uno dei più antichi ristoranti di Como. Io non lo conoscevo di persona ma Enzo ne era molto amico ed è stato molto colpito. L’ho accompagnato al funerale dove, sotto una fredda pioggia, ho trovato una folla enorme. Tutti parlavano di Gianni come di una persona speciale che aveva un sorriso per tutti. Qualche sera più tardi abbiamo cenato con il Signor Riccardo Borzatta ed anche lui ne era un buon amico e me ne ha parlato con grande affetto e commozione.

Quando abbiamo raggiunto il passo Kangmaru La, a 5200 metri, ho appeso al palo votivo che dominava il passo la bandiera di Gegia Bronzini con la poesia in comasco. Era il punto più alto del nostro viaggio attraverso la valle del Marka ed quello più adatto a quello bandiera. Qualche attimo dopo è arrivato Enzo, era stravolto ma sembrava avere un unico pensiero a cui dedicare le sue ormai scarse forze.

Dallo zaino ha estratto una piccola foto di Gianni e mi ha raccontato, tra un affanno e l’altro, che aveva promesso al suo amico che lo arebbe portato con lui nel punto più alto del suo viaggio. Sapevo che Enzo aveva fatto visita a Gianni in ospedale poco prima della sua scomparsa ma non sapevo nulla ne della sua promessa ne della foto.
Un po’ confuso e stupito non sapevo cosa fare e sono riuscito solo a dirgli: “Tra le bandiere, appoggia il tuo amico Gianni tra le bandiere che stia al caldo e al riparo dal vento mentre si gode il panorama.” In quell’attimo surreale Enzo mi ha semplicemente risposto:“Hai ragione, è un ottimo posto!”

E’ stato gardandolo chino tra le bandiere che posizionava con affetto la foto del suo amico scomparso che ho avuto quello strano senso di vertigini. Quel mezzo matto di Enzo aveva stretto i denti per ore camminando stremato per mantenere una promessa ed ora si trovava lì, con una foto in mano sotto una preghiera che rappresentava Como con una poesia scritta in dialetto comasco da un’altro caro amico di Gianni. Ho ripensato alla folla al funerale, a tutti gli articoli di giornale dedicati a Gianni e tutti quelli che me ne hanno parlato come una delle persone più buone e compiante di tutta Como. Ma ciò che sgomenta è il testo della poesia che sembra scritto quasi con chiaroveggenza apposta per Enzo, il suo amico Gianni e quella strana ed unica situazione a 5200 metri nell’Himalaya:

Dopo la rampegàda , mì
a ma sa fermì chì
parchè ga la  fù  pü
A vèss sü chì sa sént
che chì cumanda ‘l vènt
che ‘l sbràgia ma l’è bun
Al ga pensarà lüü
a bufà püsséé in sü la mia uraziün

Non so cosa sia successo lassù, cosa abbia realmente visto ma era qualcosa di speciale e delicato di cui sono stato un semplice testimone, piccola comparsa per lo più spettatore di un disegno che sembrava molto più grande. Un pezzo di stoffa ed una piccola foto che realmente sono diventati un profonda e possente preghiera che l’impetuoso vento che calava freddo dallo Kang Yaze sembrava portare verso il cielo. Una sensazione strana che ancora oggi mi lascia confuso e commosso.

Enzo ha scritto qualche riga che riporto qui fedelmente per chiudere questo mio piccolo scritto :

Circa un mese fa ho fatto una promessa ad un amico e per quelli come me le promesse sono sacre!
Tre giorni fa ho affrontato una delle prove piu’ faticose e impegnative della mia vita, salire su una montagna di 5200 metri, e per uno che non ha esperienza di alpinismo e’ una fatica immane.
Ad ogni metro guadagnato vieni ricompensato con la sempre piu’ mancanza di fiato, le energie ti abbandonano e la testa fa pensieri strani e surreali.
Ma l’unica cosa che non mi mollava era l’idea della promessa che ti avevo fatto, porarti su quella vetta!
Bene dopo dieci ore di marcia ci sono riuscito, stremato con il naso che sanguinava e le gambe tremanti sono arrivato alla vetta e li ti ho messo tra le preghiere di stoffa che recitano la loro benedizione al mondo, con lo sguardo rivolto su quello che io credo sia il panorama piu’ glorioso che io abbia mai visto!
Sicuramente il posto piu’ in alto e piu’ vicino a Dio che io possa mai raggiungere a piedi.
E se qualcuno lassu’ ha qualcosa da obbiettare per il tuo arrivo, tu digli che meta’ del viaggio l’ho offerta io!

Sempre nel mio cuore
Enzo

Il suono delle Preghiere di Stoffa

Il suono delle Preghiere di Stoffa

Il nome del passo è Ganda La ed è un valico a 4970 metri che unisce due grandi valli separate da montagne alte oltre 5500 metri. E’ stato il secondo passo che abbiamo affrontato e, a differenza del passo di Stock, è molto utilizzato anche dalle popolazioni locali.

E’ a Ganda La che abbiamo deciso di esporre le bandiere realizzate dai ragazzi del Setificio di Como per il progetto Preghiere di Stoffa: i ragazzi hanno realizzato oltre una trentina di bandiere dando pieno sfogo alla propria creatività unendo poesia e disegno sul tessuto. In quelle piccole bandiere sono contenute le loro preghiere a carattere universale, le preghiere dei ragazzi di Como per il mondo.

Enzo ed io abbiamo legato insieme tutte le bandiere in un unica lunga e variopinta ghirlanda di oltre una decina di metri tanto grande da catturare il vento come una piccola vela. Giunti sul passo la vista era magnifica e al centro della sella nella montagna, come da tradizione tibetana, vi era una grosso cumulo di sassi adornato da centinaia di bandierine colorate accatastate anno dopo anno.

Abbiamo estratto dallo zaino la lunga ghirlanda che si è lasciata subito catturare dal vento mentre in due la trannevamo come un enorme acquilone. Molto divertente!!

Proprio in quel mentre è sopraggiunta una piccola carovana di locali con i loro pony. Il più anziano, che era un rifugiato tibetano, mi si è avvicinato curioso chiedendomi in inglese cosa stessimo facendo con quelle bandiere. In effetti non avevo assolutamente idea di quale potesse essere la sua reazione, in fondo sono uno straniero e le bandiere sono una loro importante tradizione legata alla religione, ho semplicemente detto la verità: “Sono bandiere che hanno disegnato i ragazzi della mia città in Italia, sono preghiere per il mondo”.

L’anziano tibetano si è aperto in un grande sorriso, ha fatto fermare la sua carovana, legare i pony ed ha chiamato i suoi giovani compagni perchè ci aiutassero  con le nostre bandiere.Tutte le mie preoccupazioni si sono dissolte in un attimo e sul quel passo mi sono ritrovato a legare bandiere comasche spalla a spalla con i tibetani.

La lunghissima ghirlanda vibrava viva nel vento intenso del passo, ogni bandierina sembrava impazzita e continuava a schioccare colorata. Era impossibile non essere travolto dall’euforia di quel momento. Il rumore assordante del vento si mischiava a quello delle badiere e mentre facevamo loro le foto i tibetani si mettevano in posa sorridenti guardando una ad una tutte le bandiere.

Con un po’ di pazienza ieri notte ho caricato un piccolo video delle bandiere al vento. E’ ancora in bassa qualità ma nell’audio, quando il rumore del vento non è assordante, potete sentire il canto intenso delle bandiere. Potete vedere anche qualche foto che spero possa trasferivi la strana e piacevole euforia che ha travolto tutti sul passo. Una sensazione che difficilemente riesco a descrivervi.

Ringrazio tutti i ragazzi del setificio, la preside e tutte le maestre che hanno partecipato al progetto. E’ stato un vero piacere poter contribuire ad un gesto forse semplice ma sicuramente molto simbolico e carico di valori. Le abbiamo legate belle strette le bandiere di Como, accettate con entusiamo dalla cultura locale, faranno gran mostra di sè per un bel pezzo!!!

Buon Compleanno Lucia!!!

Buon Compleanno Lucia!!!

Rieccomi!!! La neve ci ha costretto a ripiegare tanto in basso che ora riesco a raggiungere la rete Gprs di Leh e mandarvi un po’ di foto oltre ai brevi messaggi con il satellitare. Non sò se alle divinità tibetane abbiamo spiegato che a fine Maggio inizio Giugno non dovrebbe nevicare in questa maniera neppure quassù!! Siamo passati dal vento e la polvere al fango e alla neve, un vero spasso se non fossero in ballo quote esagerate!!

E’ la prima volta che rasento una bufera di neve a 5000 metri: stanchi come somari, con il fiato corto e gli scarponi pesanti per la quota, arrancavamo passo dopo passo cercando di scollinare l’ultimo valico. Alle spalle ci siamo ritrovati un gigante di 6400 metri coperto di ghiaccio, il Kang Yaze. Una montagna magnifica che ora, con il maltempo che incalzava, appariva come un mostro terribile. Non era possibile non subirne il possente carisma, faceva realmente paura.  Non si capiva se erano le nuvole troppo basse o lui troppo alto ma di sicuro quel mix non prometteva nulla di buono!!

Sul passo Kangmaru La ho dovuto veramente tirare il collo al povero Enzo, non gli ho concesso tregua ed ha dovuto dare fondo a tutta la sua volontà per superare quella prova. Ci siamo seduti su un sasso a tirare fiato, ne avevamo davvero poco, e ci siamo parlati chiaro: “Okay Capo, siamo a 5k e dobbiamo raggiungere quel punto là in fondo dall’altra parte della piana, due ore per arrivare ai piedi di quella salita. ll passo è a 5k e 2, tocca salire e tocca farlo prima che quella mostruosità laddietro ci acchiappi altrimenti qui dice parecchio male per noi.”
Era la prima volta che Enzo si trovava in alta quota ma non ha fatto affatto fatica a capire cosa intendessi per “male”.

Quattro ore e mezzo dopo, quando abbiamo raggiunto il passo a 5200m, ci siamo nascosti al vento dietro un muretto coperto di bandiere per mangiare un uovo sodo ed una patata bollita, il nostro pranzo!!! Avevamo trascorso i giorni precedenti in un caldo trorrido spazzato dal vento e c’eravamo abitiuati a mangiare polvere, era incredibile come fosse cambiata tanto radicalmente e repentinamente la situazione. Dovevamo toglierci da lassù ed in fretta. Evacuare!!!

Abbiamo scollinato e siamo scesi per il ripido versante opposto di quasi 800 metri di quota. Abbiamo montato la tenda dietro un piccolo riparo e ci siamo fatti qualcosa di caldo da bere. Avevo avuto una paura “fottuta” di non riusciere a passare il passo in tempo, se io o Enzo avessimo mollato il colpo sarebbe stato un “enorme” problema accamparci lassù. Enzo era distrutto ma ha tenuto duro. Meno di mezz’ora dopo ha cominiciato a nevicare sulla nostra tenda e non ha più smesso fino al giorno dopo.

Nel cuore dell’Hymalaya, nel mezzo di una nevicata d’alta quota, chiusi in una tenda gialla, c’erano due stupidi che cantavano allegri i cori natalizzi. Strani effetti del “dopo strizza”. Enzo era felicissimo, aver raggiunto e superato i 5000 metri era per lui un risultato incredibile ed anche io, dopo averlo bacchettato e maltrattatto come un noioso e severo istruttore, ero soddisfatto ed un po’ comosso dalla sua prova.

Con una preparazione alpinistica pari a ZERO non aveva mai fatto neppure campeggio in vita sua, ora se ne stava a 4400 metri in un tenda coperta di neve dopo aver attraversato passi e vallate himalayane tra caldo torrido e freddo becco. Cinque kappa punto due. Bravo Enzo!!! Ora ti tocca offrirmi da bere!!

Ma torniamo al titolo che è quello che più conta: Tanti Auguri Lucia!!!
Il 28 la mia sorellina compie gli anni e come regalo, sebbene tanto distanti, le dedichiamo le prime foto che riusciamo a trasmettere dalla valle!!

Tempo permettendo, visto che continua a nevicare, dovremmo rientrare a Leh tra un paio di giorni. Al momento, con la neve fresca sulla montagne, è impossibile tornare oltre i 4000 metri. Ci dedichermo all’esplorazione della piana di Leh che si trova “solo” a 3500 metri.

Ciao a tutti!!! Auguri ‘Cia!!!

Un “passo” alla volta!

Un “passo” alla volta!

Dalle parole di Davide, ma soprattutto dalla voce di Enzo, si capiva come quest’ultimo fosse allo stremo delle forze, ma comunque felice per l’impresa.

“Questa e’ la quota piu’ alta che abbia mai raggiunto e che mai raggiungero’!” esclama Enzo con un fil di voce, provato dalla marcia, dal freddo e dalla mancanza di ossigeno.

La sofferenza in un sorriso…

La sofferenza in un sorriso…

Ci fermiamo per un po’, il sole si è fatto caldo ed il fiato si fa corto. Siamo costantemente sopra i 4000 metri e la quota ormai è una compagna fissa. Ci tiene la mano e ci sorride ad ogni passo. Quando ci dimentichiamo di lei si offende e si fa sentire afferrando i nostri respiri. Per andare a spasso quassù devi portarla a braccetto e trattarla bene. In questo deserto di pietre e colori ambrati le si può concedere tutto perchè lei, anche solo sorridendo, può veramente prendersi ciò che vuole.

Mi guardo intorno stupefatto, qui ci sono montagne e valli intere dove non vi è anima viva nè avrebbe ragione d’esservi per la durezza di questa terra. Non cresce nulla e tutto sembra consumarsi e sgretolarsi nel sole. Non si può visitare i monasteri senza comprendere quanto aspra possa essere la vita quassù. Non si può ammirare i disegni affollati di demoni e leggende senza comprendere le difficoltà e le incertezze che dovevano affrontare i loro autori.

Attraverso la valle i monasteri si guardano tra di loro, distanti ed isolati sono abbarbicati sulla roccia come fari in mezzo ad  un mare ostile, come bandiere in mezzo al deserto. Attorno a loro non c’e’ nulla se non distese di roccia e più in alto solo il bianco della neve. Guardando la desolazione che li circonda vedo i monasteri ed i monaci per quello che erano: un baluardo ed un rifugio dell’uomo in mezzo al nulla.

Le loro regole, le loro preghiere ed i ritmi delle loro vite erano protese a sopravvivere e a sperare. Qui la pace e la fratellanza erano l’unica difesa contro le forze terribili che dominano l’altopiano. Dietro le mie lenti polarizzate, avvolto nel goretex e nel meglio della tecnologia alpinistica, non posso che domandarmi come abbiano potuto sostenere, per secoli, il bagliore accecante di questa luce, il vento che incessante si alza ogni pomeriggio ed il tempo che cambia con la velocità con cui corrono le nuvole. Cosa li ha trattenuti quassù?

Tutto quello che vedo mi appare meraviglioso ma terribile. La natura magnifica e crudele nel suo massimo splendore. Affondo con gli scarponi nella ghiaia sapendo che ogni passo, prima o poi, mi porterà verso casa, verso il verde dei nostri laghi e l’abbraccio delle nostre montagne. Ripenso ai prati, agli orticelli e ai nostri fiumi. Qui non hanno nulla di simile,  qui la natura concede avara i suoi doni e non è clemente con nessuno. Non vedo nulla qui che possa alimentare una simile speranza in questo popolo. Dove nascono i loro sorrisi?

I monaci non potevano uscire a falciare i prati perchè non ve ne sono, non potevano fare legna perchè non ci sono alberi, non potevano coltivare la terra perchè senza grandi sacrifici è arida e sterile. Per scaldarsi durante l’inverno essiccavano gli escrementi delle loro magre bestie ed accumulavano quello che potevano. Portati a termine con fatica i pochi lavori che questa terra offre non rimaneva altro che chiudersi in preghiera e sperare. Sperare che fortificando lo spirito anche il corpo avrebbe potuto sostenere le privazioni. Nel buio dell’inverno recitare le proprie preghiere fatte di respiri e suoni profondi ed intensi, ripeterle all’infinito scacciando i demoni della montagna, del vento, della fame e del freddo. Ripetere all’infinito perchè il tempo stesso perda di senso e la mente si perda in un mondo diverso, perchè nella meditazione il corpo trovi la forza nella mente. Perchè quassù si è costretti a cercare dentro di sè, fuori vi è ben poco da trovare. Ecco il fascino di questa gente.

Una terra che mi appare meravigliosa da attraversare ma un calvario in cui vivere. Eppure non ho mai visto tanti sorrisi come tra questa gente. Dove traggono tanta speranza in un mondo tanto difficile? Sono le preghiere? Il mondo magico di demoni e credenze che anima la loro religione basta a dar loro tanta forza?

Alieno guardo questa gente, i loro bambini e le loro case. Sono equipaggiato ed addestrato per quella che è la mia missione qui, attraverserò le loro montagne cercando di trattenerne l’essenza e catturarne il ricordo. Sono qui per accarezzare la loro cultura esplorando il loro mondo ma non posso che sorprendermi umile nei confronti della loro forza. Tutta questa bellezza riempie i miei occhi ma flagella le loro vite. Io tornerò ai nostri laghi mentre loro continueranno il proprio cammino quassù.

Ho visto gente in città, gente venuta da fuori, li ho visti scimmiottare i vecchi costumi, parlare forbiti della religione atteggiandosi ad illuminati. Stupidi pagliacci ipocriti che tre mesi all’anno diventano mucche grasse da mungere per questa povera gente. Credono di poter capire il mistero di queste terre gratificandosi di una spiritualità che non è loro senza aver assaggiato l’asprezza di questo mondo. Come dice Enzo: per qualche spicciolo sono venuti a comprarsi il loro  “Nirvana Take Away”. Compiacetevi della vostra mediocrità e tornate alle vostre case arricchiti di una rinnovata stupidità da esporre.

Io vengo da montagne verdi e nemmeno proverò ad essere come la gente di queste montagne aride e dure. In loro vedo una resistenza ed un ingenuità che non è mia e che non potrebbe appartenermi. Incuranti della propria precaria vita li vedo pregare per il benessere del mondo intero ed il mio egoismo brilla come fari nella notte davanti ai loro sorrisi.

Sospiro lasciando che nel peso di questa quota si perdano i miei peccati e recito la mia preghiera silenziosa per questa gente. A Dio piacendo tornerò ai miei laghi e continuerò la mia strada mentre all’orizzonte vedo i nuovi demoni che cavalcano eccitati per raggiungere questa terra remota. I nuovi venuti sconfiggeranno i demoni locali, scaccieranno il freddo, la fame e forse anche la miseria ma divoreranno il sorriso e la forza di questo popolo.

Mi infilo lo zaino, non sta a me decidere quale debba essere la croce altrui. Non ho risposte nè consigli per loro, posso solo ringraziarli per avermi accettato e mostrato una lezione preziosa che porterò con me. Prendo fiato e mi tiro in piedi, c’è ancora molto da vedere prima che cali il sole.

by Davide “Brillo” Valsecchi published on Cima-Asso.it

LifeGate Radio in Ladakh

LifeGate Radio in Ladakh

Intervista in Radio dal Ladakh
Intervista in Radio dal Ladakh

Ieri sera, una delle nostre ultime notti in Leh per un pò, siamo stati accompagnati da Alfat a visitare un piccolo museo privato di proprietà di un anziano del luogo.

Utilizzo la parola museo solo per l’incredbile valore di ciò che quella modesta casa custodisce, non è un luogo accessibile a tutti, specie nella sempre più turistica Leh.

Alfat è un musulmano che vive la propria religiosità in un modo estremamente positivo  che lo ha portato ad avere buonissimi rapporti con molti degli anziani buddisti e tibetani della zona.

E’ un mio coscritto, ha 33 anni, ed è un uomo obbiettivamente bello, credo che più di una ragazza tra le mie amiche rimarebbe affascinata. Ci siamo incontrati per caso tra i bazar dove gestisce un piccolo shop di oggetti antichi. Io l’ho trovato subito una persona molto interessante con un approccio completamente differente dalgi altri mercanti munsulmani che affolano Leh cercando di rifilarti qualcosa.

Sebbene tanto distanti i due coscritti si sono ritrovati simili in molte idee ed è stato facile guadagnarsi la reciproca fiducia. Per noi è stato un incontro fortunato che ci ha dato la possibilità di comprendere molto di questa regione.

Ieri sera infatti ci ha portato a visiatare la casa di un anziano tibetano, di cui non vi dirò nulla per mantenere il riserbo, dove sono custoditi degli oggetti incredibili. Nulla di sfarzoso ma qualcosa che appartine alla tradizione e che potrebbe benissimo stare in un museo.

Pezzi antichi di oltre 500 anni, tramandati di generazione in generazione e che fanno parte di quei pochi tesori che i profoghi tibetani riuscirono a portare dal proprio paese.

Ero molto emozionato perchè l’atmosfera era molto particolare e mentre stavo traducendo per Enzo la storia di quelle stoffe di preghiera suona il cellulare in cui abbiamo inserito la scheda telefonica indiana.  Come Potete immaginare qui non riceviamo molte chiamate e, nell’imbarazzo, mi sono affrettato a rispondere.

L’anziano rideva perchè il telefono per lui è una novità e visto che serve per parlare con le persone lontane per lui, che era li vicino, non era affatto un problema che rispondessi. Forse voleva adirittura salutare chi ci stava chiamando!!!

Appena apro la conversazione sento: “Ciao Davide, sono Claudio di Lifegate Radio. Ti va di raccontare il vostro viaggio ai nostri ascoltatori?”.

Bene, la mia prima volta in radio la faccio a 4000 metri di quota in mezzo a tesori tibetani vecchi di secoli celati nel cuore del Ladakh. Posso avere un po’ di panico?

Spero di non esseremi impappinato troppo ma era veramente una situazione emozionante e spero di essere riuscito a trasmetterne una parte di questa emozione anche a coloro che ascolteranno la breve intervista.

Spero anche che il buon Ivan riesca a registrane una copia da pubblicare qui sul sito in modo da poterla sentire al mio ritorno (e vergognarmi dannatamente!!)

Ringrazio  LifeGate  Radio per l’opportunità che ci ha dato e spero di avere nuove storie da raccontare quando ci chiameranno ancora. Domani partiamo per la valle del Marka, sarà un parte del nostro viaggio molto impegnativa e per una decina di giorni mi sarà possibile trasmettere solo piccoli aggiornamenti.

Ci risentiamo con maggiori dettagli quando usciremo dalla valle,  continuate a leggere i nostri piccoli racconti, per noi è un grande sostegno sapere che in qualche modo ci è possibile coinvolgervi in questo nostro piccolo viaggio.

Julleè!!

By Davide “Birillo” Valsecchi on Cima-Asso.t

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