Category: Grasklettern

CIMA-ASSO.it > Grasklettern
Back Where I Belong

Back Where I Belong

DSCF3970

“I got nowhere to go… and I go! I’m a hyena fighting for lion share, sometimes the lions share ain’t there” Mio fratello aveva dormito sul mio tappeto in salotto, si era addormentato dopo aver guardato tutta la notte un documentario in bianco e nero su un musicista Jazz. Nella luce del mattino, mentre le punte del Resegone brillavano oltre la terrazza, abbiamo riempito le tazze di caffè, infilato gli scarponi e siamo filati giù in strada. Girate le chiavi della panda hanno attaccato ad urlare le case: il basso di Mat Freeman e la voce incalzante di Tim Armstrong, in un crescendo di colpi e schivate, sono il sottofondo da battaglia per i cercatori di libertà.

Al Moregallo le strade sono invase, colme ed affollate da un tripudio di bieca umanità: meschini soldatini marciano spavaldi in infradito conquistando la spiaggia in un D-Day al contrario. Ti squadrano, con lo sguardo supponente ed appagato di un servo che ha ben compiaciuto il proprio padrone, mentre occupano spavaldi la carreggiata con il materassino sotto braccio: “Strafottuto CiucciaNebbia… ti togli dai coglioni e dal mezzo della strada!!”

Ogni stramaledetta domenica… Ma questo poco importa. Parcheggiamo e due passi oltre la strada siamo in un altro mondo, in un oceano verticale di silenzi e grandezza, in una vastità vuota e selvaggia. Il sole batte violento sui prati brillanti del versante est. Le braccia si coprono di sudore ed il caldo diventa un peso tangibile: ogni dieci minuti ci dobbiamo fermare cercando di controllare l’ipertermia ed il colpo di calore. “Sembra di stare in Africa: quando ero sul Tanganika feceva lo stesso caldo. Una gran botta!” Caldo asfissiante, erba alta, spesso oltre i fianchi, ragni e serpenti: in effetti è un’ po’ come essere di nuovo nella giungla.

DSCF3984

Dal lago alla palina della Braga del Moregallo, lungo il sentiero del 50° OSA, sono 1000 metri secchi di dislivello per due chilometri di sviluppo: una vera e propria mazzata sotto il sole di Luglio. “Keko, aspettami qui all’ombra. Io seguo quelle piante attraverso il prato e provo ad avvicinarmi al ciglio per guardar giù”. La nostra salita è stata interrotta da mille deviazioni in cui, sbirciando oltre allo strapiombo, cercavo di catturare qualche nuovo punto di vista e qualche nuova informazione. Ora, a monte della grande parete Nord, era il momento di scoprirne qualche segreto.

“Cazzeggiare” sui prati del Moregallo signifca addentrarsi in un’esperienza sublime e terribile: il sole brilla vivo ed intenso sul verde mentre ogni ombra racchiude un piccolo abisso che precipita verso il lago. Un fascino selvaggio ed estetico che forse solo i grandi ghiacciai sanno eguagliare nella loro splendente incertezza. Con cautela avanzo nell’erba alta cercando di orientarmi, cercando di avvicinarmi …ma non troppo. Raggiungo un crinale, ne interpreto le linee: “Keko, aspettami senza muoverti! Va che sono qui tranquillo, non ti preoccupare!”. In realtà da quel punto in avanti non potrà più nè sentirmi nè vedermi ed io, alla faccia del tranquillo, sto strisciando sulle chiappe appeso a degli arbusti su una frana terrosa. Tuttavia il gioco vale la candela e raggiungo una “prua” a sbalzo sul vuoto sopra il grande canalone segreto.

DSCF3996

Oltre lo zoccolo della parete Est, oltre l’Angolo degli Specchi, si trova la Cengia della Solitudine. Nomi inventati per luoghi ancora tutti da scoprire. Dalla cengia della solitudine si innalza la Rampa, una ripida spalla erbosa che ad arco insegue l’uscita della Parete Est. Un’ incognita capace di farmi tremare i polsi e per cui ho comprato un paio di picozze da ghiaccio. Tuttavia, a furia di osservare quell’infinita muraglia, avevo intravisto anche un’alternativa.

Alle spalle della Parete Nord c’è una seconda parete, ancora inviolata, che termina in in un boschetto di betulle. Ai piedi di quella parete, quattrocento metri sopra lo zoccolo, si intravvede un canale che irrompe nella Cegia della Solitudine scaricando acqua e pietrisco (che poi cola verso destra lungo lo zoccolo). Ora, in piedi su quella prua rocciosa, potevo osservare dall’alto tanto il canale quanto la parete inviolata e senza nome. “Wow, se non ci sono rogne all’ingresso da qui si può uscire!”. Quel canale, salvo impreviste sorprese, può essere una valida via di fuga per lasciare la Cengia della Solitude se la rampa dovesse essere infattibile.

Ero pericolosamente nel cuore delle mie fantasie ma mio fratello mi aspettava lungo il sentiero. Keko è un musicista, forse il primo Valsecchi dichiaratamente artista, ma nonostante le apparenze ha il sangue freddo della mia famiglia. Probabilmente è seduto all’ombra a fumare, senza troppo preoccuparsi (in fondo io so il fatto mio), ma se mi attardo troppo potrebbe decidere di venire a vedere dove sono finito, potrebbe avvicinarsi troppo. Mi devo muovere, ed in fretta. Rimonto la cresta con il doppio della velocità con cui l’ho discesa (il vuoto alle spalle è ripido la metà di quello faccia a valle…) e torno dal mio fraterno compagno d’avventura mostrandogli le foto catturate.

DSCF4006

Rimontiamo ancora fino al roccolo. Poi, abbandonando il sentiero, ci addentriamo nel bosco. Tra le piante cadute trovo una vecchia traccia ed iniziamo a segurlo: “Vediamo dove va, non sarebbe male trovare finalmente un traverso a mezza costa che ci porti verso Preguda”. Mi fratello, che probabilmente non è mai stato a Preguda e a cui la cosa interessa poco più che niente, mi segue ormai rassegnato al caldo, alla fatica ed alla follia del fratello. Lungo la nuova via troviamo una vecchia casotta ed una vecchia sorgente: purtroppo l’acqua riemerge e ristagna inutilizzabile tra le foglie. La vecchia traccia, come forse era prevedibile, muore davanti alla fonte abbandonata. (…conviene tornare per sistemarla se voglio “operare” nella zona)

DSCF4018

Risalgo un crinale uscendo dal bosco e mi ritrovo al cospetto del Corno di Braga e dei prati alti. In passato ho affrontato il lungo traverso che da sotto il Corno porta alla Grotta dei Tassi, tuttavia il caldo torrido ha messo a dura prova Keko, abbiamo finito i due litri d’acqua che avevamo con noi, e non me la sento di fargli affrontare passaggi pericolosi ora che è stanco. Punto verso l’alto e traverso poi nuovamente verso il bosco sfruttando ogni isola d’ombra come punto di ristoro. Spremo le ultime energie di Keko e lo trascino fino in cima al Moregallo. Questa è la sua prima volta in vetta alla “Montagna Sacra”. La sua prima volta è stata attraverso 1200 metri di dislivello, quattro chilometri di sviluppo ed un caldo torrido! “Corno Occidentale, Centrale, Orientale. Poi laggiù in fondo c’è il Monte Rosa ed il Cervino”

Scendiamo lungo la cresta fino alle Moregge e ci fiondiamo a fuoco verso Sambrosera e la sua promessa d’acqua gelida. Giunti a casa, al campo base, ci concediamo una doccia ed un’immenso piatto di pasta fredda preparata da Bruna. Un paio di birre e ci abbandoniamo sui cuscini dei divani e sul materasso steso in salotto. Mentre siamo tutti insieme sdraiati racconto a Bruna il nostro viaggio ma, mentre parlo, lei mi da un colpetto ammiccando: il mio buon fratello, indossando ancora il mio imbarazzante accappatoio tigrato viola, è già perso nel mondo dei sogni! Buon Riposo Keko, bentornato dalla giungla!

Davide “Birillo” Valsecchi

Gli artigli del Tasso: Atto I°

Gli artigli del Tasso: Atto I°

DSCF3955

«Se sembra stupido, ma funziona …allora non è stupido» Avevo detto a Bruna che uscivo a fare una passeggiata al Moregallo, tuttavia non era credibile che uno andasse a fare due passi portandosi una mezza corda da cinquanta metri e due picche tecniche da ghiaccio, specie in riva al lago nel mese di luglio. Grasklettern”, scalare sull’erba, ecco la parola tedesca che in Baviera viene usata per l’arrampicata sui grandi pendii erbosi. Una disciplina che può far sorridere i “principi” dall’arrampicata libera o dell’alpinismo, una pratica che da noi è comunemente etichettata, con scherno ed una punta di disprezzo, come “ravanata”.

Quest’anno, con Joseph, Ivan e Mattia, ho contribuito all’apertura di numerose nuove vie d’arrampicata su roccia: rigorosamente “NoSpit” sono vie molto severe ed estetiche. Tuttavia le salite che mi hanno appagato completamente, quelle che sento più mie, sono state le “vie di ravano” aperte in totale autonomia e libertà: esplorazioni allo stato puro!

La linea “Ravan-Osa”, sotto la più celebre crestina, con Davide Vassena. Oppure le esplorazioni solitarie: “Sulle tracce del mostro”, “Le creste dimenticate”, “Pornografia domestica”, “Moregallo Express”. Avventure bellissime attraverso ragguardevoli angoli sconosciuti di verticale misto-verde.

Scoprire che questo tipo di progressione possieda una propria dignità (e persino una scala di difficoltà!) è stata una piccola ma piacevole sorpresa. Il mondo dell’alpinismo blatera continuamente di libertà, ma è per lo più popolato da sprezzanti conformisti dal giudizio facile. Di per sè questo non sarebbe un grosso problema ma c’è rischio che le “critiche ed i dubbi altrui” finiscano per diventare pericolosa zavorra sul fondo dello zaino mentre esplori l’ignoto.

Con il naso all’insù ero nuovamente ai piedi delle mie fantasie: la parete Est del Moregallo. Lo zoccolo erboso alla base è un dedalo di roccia e terrazzi erbosi con un agghiacciante inclinazione costante che oscilla sui 70 gradi. La straordinaria parete Nord è lì che mi ossera, quasi offesa e stupita, mentre la ignoro e con il canocchiale non ho occhi che per quella zona di confine tra l’alpinismo ed una qualche forma di atavica ignoranza. La mente corre lungo una linea luminosa che come un serpente fosforescente scivola verso l’alto attraverso gli ostacoli: “Io dico che si passa… però dannazione! C’è da farsela sotto!!”

Così eccomi qui, con un paio di costosissime piccozze da ghiaccio nuove di pacca in mezzo ad un prato, con l’erba alta che mi arriva al ginocchio, fradicia dell’ultimo temporale di luglio. “Dannazione, però fa paura..”. Una parte di me è spaventata, un’altra eccitata, un’altra ancora si sente un coglione con le piccozze in mezzo ad un prato. “Ti prenderanno per il culo a vita: l’ennesima stramberia di Birillo”.

Il cielo minaccia altra pioggia, ma questo non è un problema, anzi, è una sicurezza. Non sono qui per tentare la salita, sono qui per fare esperimenti: la pioggia mi aiuterà a non azzardare troppo prima del tempo. Devo capire le regole del gioco perchè questa è una partita come mai ne ho tentate. Scelgo un pendio minore, dieci metri di 70°/75° con un passaggio su un muretto di roccia. Forse dovrei partire più piano ma il morbido prato sottostante mi garantisce una certa sicurezza (basta non cadere sulle picche!!). Eccoci alla prova del nove: che cosa accadrà alla prima piccozzata?

“Shhhtaaaak!” La lama affonda completamente con un suono promettente. Allungo il braccio sinistro “Shhhtaaaak!”. Anche la seconda agguanta la montagna. Mi alzo sui piedi, l’erba è bagnata e la terra è umida: questo aiuta le picche ma la sensazione sui piedi è ancora da interpretare.  “Shhhtaaaak!”  “Shhhtaaaak!”  “Shhhtaaaak!”  “Shhhtaaaak!”  Mi alzo, lavoro con le picche, faccio i miei esperimenti, osservo le diverse conformazioni, studio gli equilibri. Sono in cima al muro, un’invitate terrazzino mi invita a proseguire: “Birillo, che fai?! C’è da studiare la discesa! Non cominciare a fare il pirla! Metodo!!!”

“Shhhtaaaak!”  “Shhhtaaaak!” Le picche lavorano bene anche in discesa ma i piedi sono una tragedia. Non riesco a vedere gli appoggi, devo andare a tentoni e non trovo mai supporti saldi. Il peso lavora troppo sulle picche: non va bene in questo modo. Come quando si arrampica sulla roccia marcia tutti gli appoggi devono essere ugualmente caricati, non si può tirare nulla, si deve solo controllare l’equilibrio e restare leggeri sulle realtà precarie. In salita i piedi si riesce a gestirli bene, ma in discesa tutta la faccenda va migliorata. In libera non posso permettermi appoggi incerti: forse farà sorridere, ma bisognerà provare anche i ramponi (…ormai vale tutto!).

Scendo, mi sposto un po’ più di lato sullo zoccolo, e provo un nuovo muro verde. “Shhhtaaaak!” “Shhhtaaaak!”. Le picozze sono una bomba, un’assoluta meraviglia: senza sarebbe quasi impossibile alzarsi in quel modo. Imparo ad allungarle, a fare lavorare in diagonale a braccia disteste, ad anticipare ed accogliere il movimento. “Serve fare esercizio, serve pratica. Però funziona! Accidenti se funziona!”

Un lungo e lucente scorsone salta attraverso l’erba scivolando via veloce come un fulmine. Curiosamente mi sorprende ma non mi spaventa. L’ansia che mi portavo nello zaino sembra sparita: mi sto davvero divertendo, nonostante il caldo, l’afa, la terra e la pioggerellina che cade oramai costante.

DSCF3961

La parete Est: una fantasia straordinaria. Superando un paio di muri verdi si può aggirare lo zoccolo attraversando verso sinistra un labirinto di terrazzi obliqui. Un viaggio tortuoso che porta fino all’angolo degli specchi, un passaggio apparentemente non difficile ma molto esposto che conduce alla cresta interna. Da lì, seguendo con relativa sicurezza il boschetto che orla la cresta, si dovrebbe poter giungere alla cengia della solitudine. Lassù, su quello che sembra un oasi verde incastonata tra immense pareti di roccia, inizia la parte più incognita del viaggio: la rampa. Una striscia verde, sconosciuta al genere umano, che risale indecifrabile verso l’alto. Forse facile, forse impossibile. Poi, più in alto, i celebri e terrificanti prati sommitali attraverso cui escono tutte le vie della Parete Nord.

DSCF3964

Ma quelle sono fantasie troppo distanti, per ora l’angolo degli specchi basta ed avanza come obiettivo. Come, quando e se raggiungerò quell’angolo mi dirà, come uno specchio, se ne ho abbastanza per continuare oltre. Ma prima di allora c’è ancora molto da sperimentare, da imparare, da preparare. C’è da fare pratica, aggiustare il materiale. Si deve anche attendere che si acquietino le bizze dei temporali estivi prima di affrontare un viaggio di oltre 700 metri di dislivello nell’ignoto. Gioventù 77, Tempo al Tempo, Osa, il Pilastro dei Panda. Chissà se davvero riuscirò ad aggiungere un’ardita “stramberia” accanto a queste leggendarie linee d’arrampicata. Chissà se, trovando il “trucco” per raggiungere le grandi e vergini pareti alle spalle dalla Nord, qualcuno ripercorrerà il mio cammino cercando nuova avventura su quella roccia. Chissà, per ora tutto è solo una fantasia arricchita da un suono nuovo: “Shhhtaaaak!”

La pioggerellina si interrompe per un istante, il sole irrompe illuminando le roccie di Gioventù77, per un attimo tutto si riempie di luce e poi, all’improvviso, il cielo mi scarica addosso pioggia pesante indondando di bianco ogni cosa. Il Moregallo mi ha sorriso, forse divertito dalle mie stramberie, ma poi mi ha spedito allegramente sotto la doccia. “Basta esercizi per oggi: Birillo tornatene a casa!”

Completamente bagnato scendo verso il lago. Le picozze non sono più nascoste con una punta di vergogna dentro un sacchetto: ora hanno la loro dignità, il loro scopo, la loro missione.

Davide “Birillo” Valsecchi

Theme: Overlay by Kaira