Poco prima dell’ingresso, mentre il sole comincia a calare all’orizzonte, incrociamo un grosso maschio di muflone che corre tra i prati del Monte Bul: è l’ultima creatura vivente della superficie che vedremo per un bel pezzo. Ci infiliamo l’attrezzatura, accendiamo la frontale… e dentro!. L’esplorazione dell’abisso del Monte Bul, oggi ribattezzato Abisso Marco Boman, inizia nel 1983 ed è proprio Boman, a cui è dedicata ora la grotta, a raggiungere la profondità di -500 metri sotto la superfice, rendendo in quegli anni l’abisso più profondo di Lombardia. La grotta si sviluppa completamente attraverso «Calcare di Moltrasio», la roccia degli stretti corridoi è intensamente lavorata e concrezionata, una scenario decisamente differente da quello della Grotta Fornitori in cui abbiamo effettuato le precedenti uscite. L’ambiente è curiosamente più opprimente e misterioso di quanto mi aspettassi: gira poca aria e scorre poca acqua, fa caldo, non c’è quella piacevole frescura che riempie i grandi ambienti di Fornitori. Scendendo la situazione cambia e di molto. Dopo aver strisciato sull’argilla in stretti corridoi ci troviamo davanti via via salti e pozzi sempre più profondi. I Pozzi Gemelli sono due enormi gallerie, parallele e verticali, che scendono verso il basso per oltre 40 metri ed unite tra loro da una finestra passante. Superati i numerosi frazionamenti scendiamo fino al fondo dei Gemelli. Siamo a più di 200 metri sotto la superficie, siamo entrati alle 19:20 e sono ormai quasi le 21:30. Tornare all’aria aperta è un viaggio tutto in salita, fatto di incognite, fatica, tecnica e tempo. Io sono decisamente meno “forte” di Mattia e devo impegnarmi per tenere a freno la testa, per contrastare quell’ansia che monta quando la voglia di uscire si scontra con la consapevolezza dello sforzo e del tempo necessario per farlo. Mattia continuerebbe all’infinito: è così in grotta, è così in parete. E’ un trattore. Io invece conosco bene i miei limiti ed evito di spingermi oltre, almeno non troppo a lungo. “Mangiamo?” Ci svacchiamo tra roccia e fango ingollando un po’ d’acqua e qualche snack al cioccolato. Mattia butta l’occhio oltre il Pozzo “Senza Fiato” ma accetta di buon grado il mio “fine corsa”. L’ansia latente si placa trasformandosi in entusiasmo: le energie a disposizione – mentali e fisiche – ora sono tutte “allocate” per riemergere. Posso serenamente spendere ciò che ho fino alla superficie, poi il resto verrà da sè. Ripartiamo verso l’alto, pozzo dopo pozzo, trazione dopo trazione, frazionamento dopo frazionamento. Appesi al buio nel vuoto bisogna fidarsi della corda, della tecnica e delle manovre. A volte, guardandosi intorno, sembra davvero follia. Bisogna essere estremamente consapevoli di ciò che può andare storto, ma “trattenere la mente” affinchè questa consapevolezza diventi attenzione, precisione, efficacia. Forse non è un caso che gli astronauti si allenino in grotta. Ma in fondo è anche per questo che siamo qui: per recuperare la forma fisica e mentale che ha contraddistinto nei tempi d’oro la affiatata ed arrembante cordata Ricci-Valsecchi. Forse siamo qui anche per capire cosa possiamo davvero “spendere” ancora prima del pensionamento. Il tempo scorre fluido mentre senza fretta risaliamo. Alle 00:20 siamo all’ingresso, avvolti un buio completamente diverso. Ci togliamo le tute infangate ed insacchettiamo il materiale. Zaini in spalla risaliamo il ripido versante erboso del Monte Bul. Alle 01:15 siamo sul sentiero. Alle 01:50 siamo alla Colma di Sormano. Alle 2:30 sono docciato ed in branda. “Come è andata?” “Siamo ancora qui: quindi bene”. Bella serata!