Il Mirtillo non lo sà

CIMA-ASSO.it > racconti nel mazzo > Il Mirtillo non lo sà

Questo week-end sono stato coinvolto, nonostante la pioggia battente, in un’intensa lezione di botanica alpina sul campo. Confesso che le mie conoscenze in ambito floreale sono pari al mio interesse per l’argomento, tuttavia la nostra insegnante, una giovane botanica, è riuscita laddove molti prima di lei – alcuni personaggi piuttosto pittoreschi – avevano clamorosamente fallito per oltre trent’anni: incuriosirmi.

Io credo che la maggior parte della gente si fissi sulla stupida “mania” di esibirsi nella conoscenza dei “nomi” dei fiori perchè il nozionismo superficiale con cui ci si adegua ad una convenzione è lo scudo migliore sotto cui nascondere un’ignoranza profonda. Tuttavia i nomi, nonostante siano arbitrari e spesso transitori, hanno un intrinseco potere nel linguaggio: “un nome definisce ciò che esiste” e questa definizione è spesso il punto di partenza di una storia.

Questo è il caso della Myosotis Alpestris. La giovane Botanica, incontrandone alcuni esemplari sulla morente morena del ghiacciaio Ventina, si è chinata per descrivere ai miei compagni le caratteristiche di quel piccolo fiore azzurro dal centro giallo. Una leggenda tedesca narra che il suo nome “volgare” derivi da una supplica del piccolo fiore a Dio, quando questi stava assegnando un nome a tutte le creature del creato: “non ti scordar di me”.

Io ero distratto in qualche altrove, come lo sono quasi sempre, ma quel piccolo fiore è riuscito a colpirmi, travolgendomi di nostalgia. Quel piccolo fiore azzurro era infatti il preferito di mia mamma e spesso appariva come decorazione dei suoi fazzoletti di stoffa. Così, incuriosito per motivi che nulla sembrano legati alla botanica, mi sono immerso nella spiegazione ascoltando una storia che non conoscevo.

“Il fiore diventa di colore blu dopo che gli insetti lo hanno impollinato, prima è di colore rosa. In questo modo la pianta comunica agli insetti su quali fiori posarsi e quali lasciare in pace”. All’improvviso la nostalgia ha lasciato spazio ad un pensiero più ampio e complesso: “…in che senso comunica?”.

Nella mia mente cercavo di immaginare gli algoritmi, sotto forma di procedure meccaniche e chimiche, che rendono possibile che il fiore, una volta avvenuta l’impollinazione, cambi colore. Tuttavia per la pianta, abusando dell’espressione, questo è un riflesso meccanico e non un atto di volontà. In realtà non esiste neppure una vera comunicazione, il fiore non ha nè coscienza del cambiamento nè alcuna possibilità di conoscere quali effetti ha sul mondo circostante.

L’evoluzione non è un atto volontario, “la pianta non si è volotariamente evoluta per cambiare colore”, semplicemente tutti i fiorellini rosa di quella primitiva famiglia che non hanno cambiato colore si sono estinti o sono diventati qualcos’altro. L’evoluzione è un processo brutale e violento in cui statistica e grandi numeri “selezionano”, in tempi che spesso coinvolgono centinaia se non migliaia di generazioni, ciò che è “vincente” – e perdura – da ciò che è “perdente” – e scompare. Tuttavia l’individuo, in tutto questo, è assolutamente vittima inconsapevole.

Così mi sono focalizzato sulle parole e sul modo con cui presentava le piante. “Il linguaggio forma il pensiero”. Il problema generale è infatti il linguaggio comune e le sue trappole. Così anche la dottoressa, che è straordinaria nel proprio campo di competenza, utilizzava il linguaggio dando spazio al fraintendimento diffuso sull’evoluzione. Un errore che invero è probabilmente giustificabile poichè cerca di ridurre e semplificare “a favola” un’idea tanto enorme da essere, francamente, difficile da abbracciare nella sua interezza.

“La pianta di mirtillo sfrutta gli animali che si cibano dei suoi frutti per diffondere i propri semi su un territorio più ampio”. Questa è la realtà così come comunemente siamo abituati a vederla, nella sua causa-effetto, ma di fatto questa NON è la realtà. Il mirtillo non lo sà, non ha la mimina idea di cosa accada ai suoi semi, non ha “progettato” il suo frutto perchè sia più appetitoso o i suoi semi perchè siano più adatti a resistere ai succhi gastrici degli animali durante il curioso viaggio dalla bocca al culo che li porterà verso “altrove”. No, il mirtillo non sa nulla di tutto questo, non sa nemmeno di esistere.

Eppure ogni anno, come tutte le creature viventi di questo pianeta, compie uno sforzo incredibile per obbedire ad un unico comandamento: “riprodursi”. Questo sforzo enorme anima lo scintillio poliedrico che è il mondo floreale ed ha un solo scopo: “mischiare le carte”. Perchè l’evoluzione è un’infinita e continua “permutazione” di elementi che crea individui “simili ma diversi” affinché, statisticamente, qualcuno di questi individui manifesti – inconsapevolmente – un piccolo ma efficace cambiamento che possa consolidarsi in modo vincente rispetto ai cambiamenti circostanti. “Survival of the fittest”

No, il mirtillo non lo sà, non lo sà che i suoi primitivi e diretti antenati hanno azzeccato, generazione dopo generazione, la “svolta” giusta ad ogni bivio evoluzionistico. Non lo sa che esistono miliardi di suoi parenti “quasi mirtillo” che, senza colpa o volontà, sono “nati inadatti” e si sono estinti. No, il mirtillo non lo sà, e questo mi inquieta perchè presuppone che neppure io, come individuo della mia specie, abbia davvero consapevolezza di quali siano le strategie vincenti – così come i madornali errori – che sto inconsapevolmente mettendo in atto o che sto passivamente subendo.

A complicare le cose un’altro incontro poco distante dal Ventina: il larice millenario della Valmalenco. Una pianta che, ai margini di un ghiacciaio, sopravvive per migliaia di anni è un individuo che hai miei occhi appare leggendario. Nel mio immaginario è il Christopher Lambert dei larici, un “highlander” con Freddy Mercury che gli fa da colonna sonora ogni volta che sorge il sole: “I am immortal, I have inside me blood of kings. I have no rival, no Larch can be my equal: take me to the future of you all!”. Così ho posto timidamente alla dottoressa una domanda: “Ma anche gli alberi millenari ogni anno attivano il processo riproduttivo o redirigono tutte questo energie in ciò che li aiuta a vivere più a lungo?”. Volevo sapere se un individuo aveva la capacità di sottrarsi al cerchio della vita trasformando se stesso, evolvendo volontariamente per estendere la propria esistenza (BioHacking). La risposta però è stata sconsolante: le piante millenarie sono piante come tutte le altre, che seguono lo stesso ciclo come le altre, solo particolari condizioni ambientali hanno permesso loro di vivere tanto a lungo.

Le piante millenarie, sebbene testimoni di un tempo oltre l’umana concezione, non sono speciali, hanno solo avuto fortuna. La loro millenaria individualità si perde nei milioni e miliardi di anni attraverso cui si muove l’evoluzione. Riprodursi attraverso poliedriche imperfezioni e cambiamenti rimane la violenta e vincente scelta della vita. L’esistenza di ognuno di noi è un tiro di dadi nello sconfinato casinò che è l’universo… fanculo ad Einstein ed ai Creazionisti.

Non ti scordar di me, una supplica di un fiore a Dio. Non ti scordar di me. Guardando un fiore dovremmo sentirci tristi, perchè sono la prova vivente che la nostra vita, in un gioco più grande, è davvero poca cosa. Ma prima di tornare a Chiareggio un’ultima strana rivelazione mi è apparsa, impetuosa e consolatrice: “Il mirtillo non lo sa, ma la mucca sì!”

Una rivelazione che trova nome in una pianta: Veratro! Già una pianta dall’apparenza decisamente brutta, fogliacce verdi in mezzo ad un prato, qualcosa che difficilmente interesserebbe gli invasati del “nomen florum”. Eppure, senza saperlo, era per me illuminante! L’evoluzione, attraverso una deriva di permutazioni nel tempo, ha infatti ha selezionato questa pianta rizomatosa valorizzando un suo particolare aspetto funzionale: essere velenosa!

Gli antenati della veratro che non erano velenosi, o anche solo vagamente velenosi, si sono estinti. Hanno smesso di esistere come “specie” perchè quando ti mangiano, e non hai altri jolly da giocare, difficilmente ti riproduci. Il verato invece erà lì, cazzuto ed incazzoso, pronto a vendicarsi: “Muoia Veratro con tutte le mucche che si azzarderanno a mangiarlo!”. Perché in fondo è una pianta sfigata: totalmente “perdente” se implicitamente non facesse affidamento sull’intelligenza della mucca.

Già, perchè la mucca lo sa che non deve mangiarlo il Veratro. Mentre il mirtillo non lo sa che il destino della sua prole è affidato al buco di culo di qualche ungulato (o di qualche bipede) la mucca è un mammifero, e questo cambia davvero tutto!

La mucca infatti NON mangia il Veratro, ma NON lo fa NON perchè una volta l’ha assaggiato ed è morta, non è un’esperienza diretta a condizionarla. Non è qualcosa di passivo, meccanico o involontario o istintivo come accade per il rosa ed il blu del “non ti scordar di me”. No, è un’azione volontaria, consapevole, che non essendo frutto di un’esperienza diretta dell’individuo è il risultato di un insegnamento ricevuto e maturato da un’esperienza indiretta. Una piccola straordinaria magia!

L’evoluzione, come una potentissima Intelligenza Artificiale (AI) che traffica senza sosta con la spietata legge dei BigData, nel suo violento percorso di selezione è giunta alla conclusione che un individuo, prendendosi cura ed educando la propria prole, può accelerare e diversificare i cambiamenti che permettano a tale specie di perdurare nonostante le trasformazioni dell’ambiente che li circonda. L’evoluzione non più come mutazione strutturale quanto invece comportamentale. Mica paglia!!

Il vitellino quindi batte a mani basse il larice millenario, soprattutto perchè la mucca è in grado di “educarlo” senza possedere un linguaggio evoluto o una consapevolezza simile alla nostra. Altro che Internet e protocolli di commutazione a pacchetti! L’uomo, con la sua straordinaria capacità di essere individuo, è di fatto il culmine della strategia evolutiva della vita. Il fatto che l’uomo abbia le potenzialità e la volontà di “esportare” la vita su altri pianeti ne è infatti una prova quasi evidente.

Tuttavia ogni strategia, per quanto evoluta, può rivelarsi tanto vincente quanto perdente nella sua attuazione. La nostra società ha aggregato gli “individui” fino alla “massa” rendendo possibili risultati insperati. Tuttavia questa massificazione, forse per la prima volta dall’alba dei tempi, sta trasformando l’ambiente – mortificando anche il libero arbitrio degli individui – con una rapidità ed un’incidenza tanto sproporzionata da mettere a rischio la scommessa di fondo dell’evoluzione: “la vita trova sempre una via”.

Il mirtillo non lo sa che, mentre lui affida con successo i suoi figli alle feci di qualche animale, suo cugino, il “falso mirtillo” (Vaccinium uliginosum), ha reso i propri frutti psicotropi se assunti in gran quantità. Loro non lo sanno, sono nati così, non hanno scelta: noi invece possiamo scegliere, e non è una differenza da poco.

Alla fine di questo viaggio credo dei nomi dei fiori mi interessi ancora meno di quando siamo partiti, ma sono convinto che la lezione offerta a noi dal regno delle piante, così come il suo rapporto con quello animale, sia inestimabile. Sto diventando decisamente vecchio, ma credo anche siano state le nanerottole, “Le Sorelle Tempesta”, e quel polpettone di “Interstellar”, ad aprirmi gli occhi su ciò che era sempre stato sotto il mio naso:

«Dopo che siete nati voi, tua mamma mi ha detto una cosa che non avevo mai capito. Mi ha detto “Ora siamo qui solo come ricordi per i nostri figli”. Credo di aver capito che cosa voleva dire. Quando diventi genitore sei il fantasma del futuro dei tuoi figli.»

Davide “Birillo” Valsecchi

Theme: Overlay by Kaira
%d bloggers like this: