“Acquanera, dici? Mi piace. Ha un che di piratesco!” Questo è più o meno come abbiamo deciso la meta venerdì sera. Sabato mattina, dopo aver comprato un paio di panini imbottiti a Lanzada, ci siamo diretti verso il “Largone”, un evidente slargo – con tanto di cartello – su un tornante della strada che porta verso i Campo Moro. Seguendo una comoda mulattiera si giunge all’Alpe Acquanera, un piccolo gruppo di case in sasso ai margini di un grande pianoro umido. Il posto è molto bello, ma la giornata era strana, le nuvole continuano a spostarsi. La croce sulla cima dell’Acquanera è ben visibile (2806 m), così come si intuisce il passaggio della Bocchetta di Acquanera (2709 m) che ci dovrebbe permettere di scollinare nella Val di Togno risalendo poi alla cima dell’Acquanera lungo il suo crinale erboso. Il guaio è che all’alpeggio non troviamo alcuna indicazione del sentiero per la cima. Vediamo in lontananza, alla base di un canale, una palina con alcuni cartelli e così, senza troppe preoccupazione, ci incamminiamo in quella direzione. La palina, che indica un bivio nell’alta via della Valmalenco, non ha tuttavia indicazioni che puntano verso l’alto, nè ci sono segni o tracce in tale direzione. “Oibò! Vuoi dire che oggi è uno di quei giorni in cui mettiamo mano alla carta!”. Così, seduti su un sasso, abbiamo disteso la cartina cercando di capire dove avessimo sbagliato. Anche il Gps non dava supporto: la traccia risultava davanti a noi ma, nella realtà, c’era solo un pendio di rododendri e larici. “Secondo me piega a sinistra, poi scollina verso destra in quella valle, risale poi verso il passo”. L’idea di “inventarcelo” il sentiero non mi dispiaceva, ma il continuo muoversi delle nubi non mi rassicurava “Se le nuvole non mi nascondono il passo, a vista, posso arrivarci: se però si copre e non troviamo una traccia non conviene spingersi troppo in alto”. Stipulati “patti chiari ed amicizia lunga” inizio a cercare un passaggio da sinistra verso destra lungo il pendio. Mi diverto, ma di traccia neppure l’ombra. Nicky mi viene dietro tranquillo, abbuffandosi di quelle bacche rosse che “garantisce” siano commestibili. Io, dal mio, mi guardo bene dal mangiare qualsiasi cosa che sia rossa e non abbia la chiara forma di un lampone o una fragolina selvatica Quando scollino nella valle sono un po’ preoccupato. Della traccia non c’è “traccia”, ravanare tra i cespugli per 700 metri di dislivello in cerca di un passaggio sulla cresta non mi alletta molto, specie se calasse la foschia incasinandomi la discesa. Niky si attarda un attimo e per un istante medito sull’idea di proclamare un sereno, ma salutare, “Battuti e Respinti”. In quel mentre vedo sulle rocce delle ossa, una spina dorsale, poi poco distante il resto di una zampa, più in là un mucchio di costolette e poco oltre un grumo di lana marcia. Incuriosito comincio a cercare tra i sassi il cranio della pecora. In un anfratto trovo un’altro mucchio di ossa e lana, una seconda pecora. “Hey Niky!! Ho due notizie. Quella cattiva è che non trovo il cranio di queste pecore. Quella buona è che ho trovato il sentiero”. Sui sassi vicino alle carcasse faceva infatti mostra di sè uno sbiadito segno bianco, un tempo accompagnato dal suo gemello rosso ormai invisibile, ad indicare la via. I segni sono decisamente rari e poco visibili ma, con un po’ di pazienza, è possibile rimontare lungo la valle fino alla forcella. Il passo è abbastanza facile da individuare, sfrutta una evidente obliquità lungo la muraglia che da destra verso sinistra permette di innalzarsi. Giunti al passo le nuvole ci hanno concesso uno fugace sguardo alla croce prima di avvolgere tutta la piramide nella foschia. “Poco male, seguendo il filo di cresta erboso dovremmo esserci”. In realtà, seguendo il prato mi sono ritrovato su una “cornice” rocciosa esposta nel vuoto per due o tre metri. “Nope! Di qui non si passa! Indietro! Indietro!” Sdraiato con la testa oltre alla cornice ho cercato di capire come e dove fosse possibile superare quel canale. Sconsolati abbiamo dovuto ridiscendere fino alla Bocchetta ed attraversare orizzontalmente anzichè puntare verso l’alto. Giusto per confermare la teoria uno sbiadito segno bianco è finalmente apparso su un sasso. Compreso il trucco non è stato difficile raggiungere la croce. Il Pizzo Scalino era ancora avvolto nelle nuvole ma il panorama sulla Val di Togno era straordinario. La luce che si rifrangeva sulle curve del torrente rendeva l’acqua brillante, sembrava uno di quei documentari con vista aerea sui fiumi delle pianure africane. La cima del Pizzo Painale, avvolto in controluce nelle nuvole, aveva un aspetto imponente ed affascinante sul brillante mondo sottostante. Giunti sulla cima dell’Acquanera mi sono spinto sull’altro versante in cerca di una possibile linea di discesa. Ero concentrato sulla cresta e senza rendermene conto mi ritrovo ad urlare spaventato: ero stato completamente sorpreso da un volo improvviso di una decina di pernici bianche che si erano lanciate nel vuoto. Le ho guardate allontanarsi, divertito da come fossero riuscite a mettermi paura. “Hey Niky, un gruppo di uccelli è riuscito a farmela fare sotto! Però la traccia mica l’ho trovata…”. Il piano, o meglio la teoria, era che fosse un sentiero che permettesse di scendere verso il Passo degli Ometti, tuttavia non c’era quasi nulla ad indicare quella possibilità. Certo, abbassandosi nella valle di Togno, lungo i prati, si poteva poi risalire verso il passo, ma di passaggi lungo la cresta però non ne vedevo. “Io invece ho trovato qualcosa, ma non mi convince…”. Niky mi indica un segno bianco sotto la croce: sembra, ma non ho conferma, che sia possibile abbassarsi sul lato sud-ovest per poi tagliare orizzontalmente sotto il salto roccioso che a nord che porta sulla cima. Dubbioso ho guardato quel segno bianco: ”Io non ci vado lì! Ammesso che ci sia davvero un passaggio, se ti scivola un piede su quella ghiaietta fai un volo di 200 metri. Forse in salita si potrebbe tentare, ma in discesa ed alla cieca io passo la mano. Preferisco tornarmene a casa contento per dove siamo venuti!”. Niky si è messo a ridere, anche a lui non sembrava una buona idea. Patti chiari, amicizia lunga. Ci sediamo e mangiamo con calma i nostri panini. Si era alzato un po’ di vento ma questo aveva spinto via le nuvole e permesso ad un tiepido sole di scaldarci. Il sentiero di ritorno, senza la foschia e dopo averlo percorso una volta, risulta molto più facile da leggere. La discesa è quindi molto meno impegnativa e si dimostra anche abbastanza rapida. Nonostante tutto l’ultimo tratto, quello tra i larici e rododendri, risulta comunque impossibile da individuare (ma non è un gran problema inventarsi una linea). Il Monte Acquanera offre uno straordinario punto di vista per una salita che gode di una certa attitudine selvaggia. Inaspettatamente una bellissima meta!
Davide “Birillo” Valsecchi