La conoscenza e il rispetto della montagna sono le condizioni indispensabili per la pratica dell’alpinismo. L’autoregolamentazione si riferisce al mantenimento o al ripristino di condizioni ambientali conformi all’essenza dello sport alpino (wilderness = solitudine in ambiente selvaggio). L’accettazione del rischio è parte integrante dell’alpinismo che è una attività che presenta rischi e chi la pratica se ne assume la responsabilità; sono soprattutto le competenze, le capacità e il livello di preparazione fisica e psichica che possiede l’individuo a stabilire il grado di prevenzione del rischio e a imporre le conseguenti azioni. La conoscenza e il rispetto della montagna uniti a un’onesta valutazione delle proprie capacità sono condizioni indispensabili per una pratica in ragionevole sicurezza dell’alpinismo. Inoltre il rischio assunto e condiviso nello spirito di cordata è un momento culturale essenziale nella pratica, dell’alpinismo dove il confronto personale dell’individuo con le difficoltà opposte dalla natura ne costituisce il fascino. Tuttavia l’eccessiva commercializzazione, alla quale anche l’alpinismo sembra non sfuggire, rischia di snaturarne sempre più l’etica…. L’apertura di nuovi itinerari di scalata dovrà basarsi sulla struttura naturale della montagna e sul rispetto delle vie logiche di salita. L’uso dei mezzi artificiali che comportano la perforazione della roccia dovrà essere evitato o limitato a casi straordinari, simili a quelli in cui essi sono stati tradizionalmente tollerati, ossia ai casi in cui essi consentono il superamento di brevissime interruzioni della linea di salita naturale, e ai casi di emergenza.
Questo è ciò che riporta il Bidecalogo del CAI fin dal 2013. Poi però, con un certo disappunto, trovi istruttori di Scuole CAI che corrono ed accorrono a farsi selfie sulle placche di Albonico, appesi alle neo-spittate linee de “L’Amico Gigante” che, incurante tanto del bidecalogo quanto delle vie originali aperte e documentate già negli anni ’90, si è messo ancora una volta a fare il “reuccio a batteria”.
Vergognatevi anziché sorridere: per quanto mi riguarda l’uso del trapano nel 2019 è come il Rohypnol, la droga dello stupro. Il più squallido della compagnia butta la pastiglia nel bicchiere della ragazza che non riesce a conquistare: stordita ed incapacitata trascina la poveretta in un angolo dove gli amici del branco, scattandosi diverti foto, ne abusano compiaciuti in gruppo vantandosene sui social. Se gli chiedi perchè lo fanno ti rispondono “Perchè meritava troppo!” “Perchè volevamo solo divertirci”, ma l’abuso lascia segni indelebili ed irreversibili. Ecco i “maniaci dell’arrampicata”: coloro che chiamano libertà la propria ossessiva e superficiale violenza.
Il “soggetto” in questione – “io faccio quello che voglio dove voglio!” – si fregia poi della patacca azzurra di Guida Alpina e questo lancia preoccupanti ombre sulla validità del monopolio di tale Istituzione e sulla natura dei compromessi ritenuti accettabili per soddisfare clientela e clientelismo.
Il mio disprezzo per questa gente è ormai incontenibile e generalizzato. Scrivo queste poche livorose parole solo per mostrarvi ciò che era Albonico e che avrebbe potuto essere anche nel futuro se l’ignoranza e la presunzione non fossero state sdoganate come cultura di massa. Ecco l’arrampicata ad Albonico prima dello stupro a spit, ecco Albonico Original!
Davide “Birillo” Valsecchi
Archivio fotografico Ivan Guerini