Il Corno Birone è alle mie spalle, il sole basso sull’orizzonte filtra oltre la cresta sull’erba alta. C’è un gran silenzio quando si è lontani da tutto. Mi siedo a prender fiato, mi siedo con i piedi a ciondoloni sul tronco di una betulla che il vento ha piegato tanto da costringerne la crescita quasi in orizzontale. Sono sdraiato su qualcosa che dovrebbe essere verticale, guardo il cielo sospeso sul vuoto sopra i prati. “Birillo, in Catalonia fanno la guerra civile e tu sei qui a cazzeggiare…”. L’immagine dei pompieri che si schierano a difendere la folla dalla polizia non mi esce di mente: no, è qualcosa di troppo profondo per essere ignorato.
Scintille di un cambiamento che forse non avverrà: nei porti davanti alla città hanno ammassato 10.000 militari della Guardia Civil. Il sindacato degli scaricatori di porto ha boicottato il loro attracco, ma prima o poi scenderanno nelle strade. “Bisognerebbe andare in Catalonia. Cristo santo, settanta o ottanta anni fa saremmo partiti: una guerra, un ideale, uno scopo, un avventura.” I giovani del novencento erano pronti a credere in qualcosa, erano poeti, scrittori, eroi. Oggi siamo schiavi di non si capisce cosa. “Non possiamo più uccidere il Re, perchè ci hanno detto che il Re ora siamo noi” recita la canzone: ogni battaglia è stata vinta per una generazione di sconfitti.
Davanti a me c’è il grande ed orrido camino del Bevesco: sono anni che lo osservo, che fantastico di infilarmi nelle sue tenebre per riemergerne vivo e vittorioso sulla sua cima. Un pensiero fisso tra i tanti. Ma “Andrea” scalcia nella pancia di Bruna ed una specie di epifania mi ha colpito all’improvviso: per un istante ho distolto lo sguardo dalle montagne ed ho osservato le terre degli uomini. Come svegliarsi da un lungo sonno, riaprire gli occhi destandosi dal Sogno di Smeraldo per scivolare nello sguardo di un bambino ancora non nato: “Cazzo è sta merda?! Per quanto ho dormito? Come ho potuto lasciare che tutto questo accadesse? Dove ero quando questo mondo aveva bisogno di me?”
“Gli otto dell’orchestra suonavano Jazz mentre il Titanic affondava.” La prima volta che sono stato a Parigi avevo 15 anni. Con un professore di filosofia, un ex calciatore anarchico, abbiamo visitato i mercati, bancarelle di roba usata affollate dall’umanità più improbabile. Mi ero innamorato di una giacca usata da motociclista marrone, probabilmente anni ‘60, consumata e livida di vita vissuta. Vivevo “la pace nella guerra fredda”, mai più guerre in Europa: il “Kuwait” e “la tempesta nel deserto” erano ancora lontani e sarebbero state comunque solo “Traccianti verdi nella notte di Baghdad”.
Il futuro sembrava certo così come lo sarebbe stata la pace, l’uguaglianza, la giustizia: era il tempo dei diritti per tutti, dei diritti per le minoranze, per le eccezioni. In un mondo perfetto e luminoso potevo ritagliarmi il mio spazio ai margini, viaggiare, esplorare gli ultimi spazi vuoti, gli spazi buii in cui la luce rischiava di perdersi. Ognuno di noi allora pensava di poter essere “diverso”, ora ci siamo ritrovati tutti “uguali”.
Il G7, il G8 e poi l’11/9. L’Afganistan, l’Irak. Le bombe nelle città, nei treni, gli spari ai concerti ed i camion sulla folla. La luce si è fatta opaca, il mondo delle possibilità è diventato il mondo dei limiti. Il disordine e l’ingiustizia sono diventati la nuova regola. La paura e l’incertezza ci hanno reso tutti deboli, pavidi …omologati ed incolonnati, rabbiosi ed impotenti contro tutti coloro che, per coraggio, per necessità o per opportunismo o spregiudicatezza, piegano le leggi insensate a cui non sappiamo ribellarci.
«Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà.» L’Isola Senza Nome è il mio giardino dei Getsèmani: ma io sono salito qui per pregare o per nascondermi? Il coraggio tra queste rocce solitarie e selvagge è forse solo paura? “Cosa farai Birillo? Condannerai la tua progenie ad un futuro da pirata come il tuo? Ne farai avventurieri erranti, ma esiliati, in un mondo in declino?” All’improvviso tutta la mia debolezza mi assale ed il mondo selvaggio attorno a me si piega mortificato davanti ai miei dubbi. «Gli Dei delle Montagne benedicano la Catalonia. Forse sono solo un popolo di “brianzoli” ottusi ed arricchiti, ma sono in strada, cantano insieme aspettando la marea nera dei 10.000 soldati della Corona. Cantano mentre sognano di affrontare e sconfiggere un Re, di plasmare e dare forma al proprio mondo. Il Re ed il suo Governo sbraitano contro di loro minacce ed ultimatum mentre noi, respirando il fumo dell’inceneritore, la puzza dell’ingiustizia, annuiamo a promesse e lusinghe che già conosciamo come bugie. Dio benedica i Catalani: domani forse saranno sconfitti ed incatenati, ma oggi hanno il proprio prezioso futuro stretto nelle proprie mani. Io non credo di possedere tale ricchezza…»
“Bona sort, Déu t’ajuda!”
Davide “Birillo” Valsecchi
Oggi è un anno che il ponte di Annone è crollato. Tutti hanno guadagnato qualcosa, solo uno sfortunato ha perso tutto, e dopo un anno la colpa è di nessuno. Fanculo…