Bru Na: Il Ritorno

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Sabato io e Bruna siamo andati ad un matrimonio: lei con i tacchi alti, io con i calzoni corti. Arrivati in municipio ci siamo accorti che l’ingresso era sull’altro lato del palazzo e che si accedeva alla sala della cerimonia solo attraverso un piccolo ponticello sospeso: noi, ovviamente, eravamo alla base del muro di cinque o sei metri sopra cui correva il ponte. “Che si fa? Facciamo il giro?” “Nope, siamo in ritardo. Te la senti se prendiamo la dritta!”. Mi sono sfilato le scarpe da trekking e le ho allungate a Bruna. Lei mi ha guardato un istante ed ha sfilato i tacchi infilando le mie scarpe: poi abbiamo iniziato ad arrampicare su per il muro. “Non le volevo le tue scarpe! Volevo anche io arrampicare a piedi nudi!”

La concitazione e la complicità del momento hanno lasciato in secondo piano l’incidente al piede e gli acciacchi che ancora fastidiano il dito di Bruna. “Come è andata?” “Bene, mi è venuto spontaneo arrampicare! Mi sono anche divertita!”. Così, mentre Luigi ed Erika si scambiavano le promesse matrimoniali, io ordivo il mio piano per rimettere in pista Bruna l’indomani: “Ti va se domani facciamo un giretto dietro casa?”

Se fosse stato meno caldo avrei puntato alla Crestina Osa, ma non potevo azzardare di ritrovarmi in pareti con il dito dolorante, le scarpette strette ed un afa asfissiante. Quindi ho optato per un lungo giro che da Valmadrera saliva fino al Cornizzolo passando da San Tomaso e San Pietro. Purtroppo giunto all’imbocco del sentiero del “Luisin” ho trovato la strada sbarrata dalla gara di tiro al volo per il 50° dei Cacciatori di Valmadrera. “Mi spiace, ma non si può passare. Il sentiero è sulla linea di tiro”.

“Il momento presente è adesso: significa prepararsi costantemente all’imprevisto.” Ai piedi delle bastionate minori del Corno Birone non mi restava che tornare sui miei passi o inventarmi un’alternativa intrigante. “Saliamo su per il fiume?” Tornati ai grandi massi segati del Taja-Sass ci siamo infilati tra le rocce e l’acqua cristallina. “Mettiamo le scarpe nel mio zaino, a piedi nudi si rischia meno di cadere”. Così, immersi nell’acqua gelida ma corroborante, abbiamo iniziato ad arrampicare sul granito e serpentino in una specie di “Sentiero delle Vasche – Extended Version”.Bruna si diverte, le piace arrampicare scalza, senza corda. Si muove e segue i miei spostamenti tra i sassi e l’acqua: gesti fluidi, atletici ma tutt’altro che banali. Il caldo ed il male al dito sembrano solo un piacevole ricordo lontano. Il fiume è un misterioso incrocio tra una giungla ed un crinale di alta montagna. Bruna si diverte, finalmente può muoversi come più le piace, e forse anche io ne avevo bisogno, avevo bisogno di mettere fine a questo capitolo, all’incidente. Forse avevo bisogno di averla di nuovo vicino nelle mie scorribande. Una placca ad incastro ci riporta ai tempi di “Cuori infrangibili”, mentre a sbalzo le indico prese ed appoggi: “Vieni su ma non cadere!”

Il sole dell’Estate che avanza irrompe nei colori nascosti dell’Isola Senza Nome. Forse sono solo uno sciocco, un bambino che fantastica mentre gioca nel giardino di casa, ma ci sono angoli, luoghi sconosciuti ai più, la cui misteriosa bellezza non smette di attrarmi e conquistarmi. “Ma sai dove siamo?” “Non sono mai stato qui, ma so dove siamo”. Nella mia mente, come un puzzle, prende vita la mappa di ciò che mi circonda. Salgo in cima ad un sasso più alto ed indico un punto nel bosco, oltre il fiume, nel fitto della vegetazione. “Credo che il sentiero passi laggiù”. Bruna fa un’espressione scettica. “Naa, non ci credo. Stai inventando!”. Proprio in quel mentre un corridore, indossando vestiti fosforescenti e con passo pesante, passa di corsa sul sentiero oltre la vegetazione in lontananza. Sogghigno con aria compiaciuta “Mmm sei ancora convinta sia in errore?” Bruna sbuffa indispettita: “Bhe, se non era per il senso dell’orientamento non ti venivo dietro in questi posti!”.

Il fiume è ormai un rigagnolo stretto tra le piante. Così lo abbandoniamo prendendo di petto i grandi e ripidi prati che salgono alla cresta del Bevesco. Raggiunto il crinale ci si inoltra in uno dei luoghi più ampi meno frequentati del corno Birone, una ripida ed erbosa valle ad imbuto che si tuffa verso il basso slanciando oltre le vertiginosi muraglie. Ci si può addentrare solo in discesa, avendo costantemente davanti agli occhi il grande vuoto sulla città di Valmadrera. E’ un posto che scuote ed inquieta.”Non voglio scendere. Questo posto mi da strane sensazioni.” La prima volta che mi sono avventurato in questa valle da solo ero quasi terrorizzato, ad ogni passo temevo di scivolare sull’erba precipitando nell’abisso: sempre in discesa, sempre senza vedere bene dove stai andando mentre le prospettive ti disorientano. Non è per certo un posto facile. (Ma questa placca, battezzata “Placca delle Industrie”, merita una visista accurata)

“Okay, allora andiamo in sù e poi facciamo il giro attorno ai campi solcati”. Continuiamo nell’erba alta fino a raggiungere il sentiero che porta alla “Cascina Rotta” e da lì quadagnamo la colettetta del Pra Santo. Per cambiare un po’ scendiamo verso la val Ravella, spingendoci verso l’Alpetto Alto. Poco più sotto prendiamo sentiero che, con un lungo traverso, ci porta fino al Fo, il grande faggio oltre il Colmo della Ravella. Da qui, seguendo il Sentiero Carlo scendiamo di nuovo verso la Val Molinata, l’Acqua del Tufo e San Tomaso. Dopo una birra ed un ghiacciolo al ristoro dell’Osa abbiamo fatto rotta verso casa.

Dodici chilometri, mille metri di dislivello per un’escursione fatta di bouldering, canyoning ed esplorazione: non male per un “giardino di casa”.

Davide “Birillo” ValsecchiTracciato
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