Ieri ero a Bolzano, alla fiera ProWinter 2017, invitato da Giovanni e dal negozio Sherpa di Ronco Briantino. La mia avventura con i chiodi, il progetto RockHound, mi sta conducendo attraverso mondi a me sconosciuti e spesso decisamente affascinanti… anche senza menzionare le prosperose cameriere bolzanine che nei loro stretti abiti tradizionali mi hanno servito birra a boccali!
Così questa mattina, per sgranchirmi un po’, ho deciso di fare una salita veloce al Corno Rat. Le ferrate sono pericolose tanto nell’ideologia quanto nella pratica. Pensare di “arrampicare” su una ferrata è un’ idea sciocca e pericolosa: ci si trova ad affrontare passaggi difficili, movimenti sbagliati, roccia unta e non ultimo un’illusoria protezione che, con il fattore 6 di caduta, vi garantisce unicamente di non arrivare a terra (ma probabilmente di sbattere ovunque e scassarvi completamente!).
A volte lo trovo divertente, un buon esercizio, una piacevole ginnastica, altre volte invece la vivo come la cosa più insopportabile, deprimente e svilente che possa aver deciso di impormi. Oggi, purtroppo era il secondo caso. Dopo il primo tratto ero già assolutamente annoiato e fastidiato da quel tipo di arrampicata, insicura ed inappagante.
Sono stato tentato di infilarmi nell’Anfiteatro, tuttavia l’ultima volta a metà del canale d’accesso erano venuti a basso un paio di grossi “frigoriferi“ e non volevo che la mia noia potesse rovinare la giornata (o peggio) a qualche innocente turista in gita al Corno. Così ho preferito curiosare alla base dello sperone roccioso che fronteggia il Corno Rat. Mesi fa, credo prima dell’inverno, avevo tagliato dalla cresta raggiungendolo a mezza altezza per poi risalirne la parte alta. Roccia buona avvolta nella vegetazione custodiscono una vecchia via d’arrampicata ormai quasi perduta.
Tra le piante una marcata traccia di capre sembrava invitarmi: indossando ancora il casco, l’imbrago ed il set da ferrata ho cominciato a curiosare lontano dalle catene. In un canale di roccia buona (coperta da rovi) credo di aver trovato l’attacco della via originale allo sperone. Osservando le solide piante su cui fare sosta fantasticavo l’idea di tornare armato di rastrello e cesoie per tentare la ripetizione in solitaria. Anzi, tutta quella zona poteva essere interessante e mi ricordava i giorni felici di “cuori Infrangibili”: chissà, forse tenendosi lontani dalla roccia marcia e dai crolli si poteva trovare qualche bella linea di roccia e piante al sole.
Qualche indigeno doveva aver avuto la mia stessa intuizione perchè, poco più avanti, ho trovato un cordino in una clessidra alla base di un diedro: “Chissà chissà a chi appartiene questo cordino qua?!” In realtà credo di sapere la risposta…
Il sentiero della capre però non si arrende neppure davanti ad una poco rassicurante placca sul vuoto. Già, perchè addentrandomi nel bosco ero finito sul crinale del grande salto roccioso che prende il nome di “Giardini Pensili”: Roberto e Gianni Mandelli (due alla cui capacità nemmeno mi ci avvicino!), dal basso hanno aperto diverse vie di arrampicata in quella zona. Linee naturali prive di spit che superano passaggi aerei di VI+. Il sentiero delle indomite capre sembrava lanciarsi in parete, incurante della vertigine o del vuoto sottostante.
“Birillo, no! Birillo, non andare oltre!”. Seguire alla cieca un sentiero di capre in parete è per certo una delle cose più stupide e pericolose che possiate decidere fare. Il fatto che io continui a farlo con preoccupante costanza dovrebbe farvi comprendere come io sia un pessimo alpinista ed un pessimo arrampicatore. Come più in generale io sia una brutta persona ed un esempio negativo per tutta la comunità della montagna. Bambini: don’t try this at home!
Le capre, in modo assolutamente stupefacente, hanno tracciato un tortuosa linea che, quasi con genialità alpinistica, discende e risale la parte alta dei Giardini Pensili. Confesso che, addentrandomi nella parete, ero decisamente combattuto ed intimorito: “Birillo, indossi l’imbrago ed il set da ferrata. Quando e se ritroveranno il tuo cadavere, prima di riconoscerti, penseranno ad uno milanese tanto stupido da riuscire a perdersi la ferrata!”. La linea della capre è però assolutamente geniale e spalanca l’accesso a gioielli di roccia assolutamente inaspettati!
Il sentiero è però un sentiero da capre: ci sono passaggi da brivido sul vuoto, terra smossa ovunque e movimenti su roccia tutt’altro che banali. La prima parte è in discesa tra rocce instabili e l’ultima affronta una rampa su placca che sembra ricorda il Canalone Porta in Grignetta (però sotto c’è il vuoto!). Confidavo che le capre avessero trovato una via d’uscita e che non si fossero lanciate di sotto come dei lemmings …tuttavia non avevo nessuna certezza e, senza corda, non mi sentivo troppo a mio agio “spalmato” là in alto. Quando finalmente sono riuscito a vedere l’uscita sui prati oltre la cresta mi sono rassicurato un po’: “Dannazione! Quante ne sanno le capre! Guarda che via di III° grado hanno pennellato in questi luoghi impossibili!”. Impressionate: il Piolet D’Oro quest’anno lo vincono le capre di San Tommaso!
Ero galvanizzato dalla scoperta di quella linea: finalmente posso curiosare nei giardini pensili con la certezza di avere una possibile “via di fuga” a mezza altezza! Stregato dalla creatività delle capre ho continuato a seguirne la linea ritrovandomi in luoghi di cui non avevo mai sospettato neppure l’esistenza. Ho trovato una grotta “abitabile”, una falesia nascosta nel bosco ed una cascata arrampicabile. Le capre sanno, non ci sono chiacchiere! “Perché la capra è il migliore animale che c’è, dopo la donna…”
Davide “Birillo” Valsecchi