Nel 2010 Enzo Santambrogio ed io siamo “salpati” da Como a bordo di una canoa, remando siamo andati a Venezia attraverso l’Adda ed il Po. Era l’epoca dei “Due di Asso” e quella per noi era stata solo l’ennesima stramberia in cui ci avevamo deciso di infilarci. Non eravamo canoisti nè atleti, no, eravamo i Flaghéé, le bandiere del lago, letteralmente “pirati d’acqua dolce al conquista del mare”. Ci siamo messi in viaggio 26 Luglio da Como e siamo giunti in piazza San Marco alle ore 11 del 6 Agosto 2010. Con il senno di poi si è rivelata una grande avventura che, come spesso è accaduto, non abbiamo saputo comprendere appieno all’epoca.
A quei tempi i cellulari non erano ancora evoluti come oggi: ci eravamo fatti prestare un “Iphone2” (all’epoca una vera e propria rarità) con cui riuscivamo a pubblicare su Cima un rapporto giornaliero di viaggio. Ovviamente la connessione Internet di allora non permetteva di caricare immagini come comunemente facciamo oggi, il racconto era qui senza fotografie e scritto di notte, al buio, in fretta per non scaricare le batterie, premendo con l’indice sul touch-screen un tasto alla volta dopo una decina di ore al remo sotto il sole. Testi semplici, decisamente grezzi, che avevano lo scopo di aggiornare (e forse anche rassicurare) coloro che si erano appassionati alla nostra storia.
Già, quel viaggio avrebbe potuto essere un incredibile documentario ma non eravamo assolutamente attrezzati per realizzarlo. Non avevamo una macchina fotografica impermeabile, nè batterie, nè fotocamera. No, eravamo decisamente allo sbaraglio quella volta. Ti basti pensare che l’unica cartina a nostra disposizione era “autostradale”: altro che immagini satellitari, come “trappers” affrontavamo le incognite del fiume in assenza di ogni supporto tecnologico.
Nonostante qualche brivido siamo però riusciti a congiungere Piazza Cavour a Piazza San Marco, il lago al mare. Questo ci bastava, non abbiamo mai realizzato serate o pubblicazioni: i disordinati appunti lasciati su Cima, con una certa incuria in effetti, sono l’unica testimonianza di quei giorni. Tuttavia quegli scarsi trascurati semi hanno spesso attecchito: negli anni sono stati in molti a contattarmi, a chiedermi informazioni e a lanciarsi, ognuno a proprio modo, in quest’avventura.
Due anni fa dei ragazzi di Valmadrera, Jhonatan e Pavel, hanno ripetuto il viaggio con due Kayak. Prima della loro partenza ci siamo incontrati ed abbiamo discusso delle difficoltà e del percorso. Ero affascinato dalla meticolosità con cui si erano preparati al viaggio, a come avevano studiato il fiume e la cartografia. Al ritorno mi hanno confermato qualcosa che avevo scoperto prima di loro: non importa quanto tu sia preparato, il fiume riesce sempre a sorprenderti e a metterti in difficoltà. Quando sei dentro il fiume devi imparare ad ascoltare, a vedere, a cambiare in fretta i piani. Tuttavia questo è il grande fascino che un viaggio simile riesce a conservare: non è una passeggiata ma un’avventura decisamente impegnativa e pericolosa.
Giorni fa un’altro ragazzo mi ha scritto chiedendomi informazioni. Con molta precisione mi ha inviato una serie di domande. Cercando le risposte è nato quest’articolo e questo tuffo nei ricordi.
Ciao Davide, come già anticipato di importuno per qualche domanda più precisa:
1) Quanto vi siete allenati prima della partenza e che tipo di preparazione avete seguito?
Allenati? No, io ed Enzo eravamo la negazione di ogni espressione atletica o salutista. Passavamo il tempo in trattoria a bere vino rosso prima di infilarci in qualche guaio di immane portata. L’anno prima, su una canoa polinesiana a doppio scafo, avevamo fatto insieme il periplo completo del Lago: prima di allora Enzo non aveva mai preso in mano un remo (e remare non lo appassionava certo!). Io avevo fatto una buona esperienza in Kayak sul lago di Pusiano ma non avevamo mai affrontato una discesa fluviale e tanto meno una canadese. Questo per farti capire le difficoltà tecniche a cui dovevamo sopperire. Tuttavia non devi lasciarti trarre in inganno: io ed Enzo avevamo trascorso insieme 4 mesi in Africa ed altrettanti in India sul confine Himalayano con la Cina. Questo significa che il nostro affiatamento nelle difficoltà era incredibile, eravamo abituati ad aspettarci il peggio ed avevamo sviluppato una straordinaria resistenza alla fatica ed allo stress. Inoltre la nostra inesperienza “nautica” era compensata dalle competenze in altri campi, in special modo quello alpinistico. Ricordo di aver attrezzato una calata di 20 metri con Enzo e cinque metri di canoa appesi nel vuoto che manco il Soccorso Alpino. Quindi credo che per quest’avventura basti la “sana e robusta costituzione”, quello che davvero conta è la giusta attitudine per comprendere, affrontare e risolvere le difficoltà ed i problemi lungo la discesa.
2) Quanto margine di spinta vi ha dato il fiume (Adda e Po) rispetto al lago?
Da Como a Bellagio avevamo vento contro e si doveva conquistare ogni metro, da Bellagio a Lecco invece sembrava di essere su un windsurf cavalcando le onde: praticamente un missile! Il lago però va a giornate e momenti. L’Adda aveva una buona spinta, ma questo non era un bene. L’Adda è un susseguirsi di chiuse e stramazzi, un percorso ad ostacoli denso di trappole ed insidie. La vera difficoltà sull’Adda non è macinare chilometri ma superare indenni i suoi tranelli. Ricorda, sull’Adda quando sei incerto e qualcosa non ti convince tocca terra e vai a vedere a piedi. Ascolta il fiume, il suo rumore, e non ti fidare dell’acqua troppo veloce. Sul Po invece il livello del fiume era molto basso, quindi pochissima corrente e tanta spiaggia da aggirare. Il Po, come lo abbiamo trovato noi, è una prova di costanza e resistenza. Facevamo molto la mattina e la sera, cercando di riposare nelle ore centrali nascondendoci dal caldo. La laguna è poi un’altra questione: noi l’abbiamo affrontata sia con la pioggia che con il bel tempo. Ribaltarsi con una canadese al largo è un vero disastro da risolvere, quindi i lunghi tratti in “mare aperto” li abbiamo affrontati con una certa tensione. Il Canal Grande è un pericoloso giro sull’ottovolante: ci sono onde che superano il metro e bisonti a motore che passano in tutte le direzioni. Attraversarlo è come attraversare a piedi un autostrada: è l’ultima difficoltà ma non sottovalutarla.
3) Cosa reputi, in un bagagliaggio leggero, di estrema necessità?
La nostra canadese da cinque metri era un vero e proprio furgone galleggiante. A modi gavone avevamo fissato al centro un bidone di plastica a chiusura ermetica da 60 litri. Dentro avevamo tenda, sacchi a pelo, vestiti e provviste. A differenza di un Kayak il nostro era un “mezzo” decisamente pesante ma capace di grande carico: il bello della canoa è che in acqua il peso è ininfluente, quindi ci siamo attrezzati di tutto (compreso materiale per eventuali riparazioni dello scafo). Il peso ovviamente ci metteva in difficoltà negli alaggi e nei tratti da affrontare via terra (come ad esempio i 5 km delle rapide di Paderno). Per questo motivo avevamo costruito un carrello artigianale per trasportare facilmente la canadese almeno nei tratti asfaltati o in terra battuta. Nella vegetazione, nel bosco o tra i sassi, toccava darsi da fare lavorando e tirando in due. Credo che avere 30 metri di corda buona (prendi una statica del 8 a cui tu possa appenderti, non la corda per stendere i panni!) sia fondamentale: serve sempre, sia se devi tirare il kayak tra le piante sia per farti sicura mentre scendi anche solo un paio di metri pericolosi e viscidi. Scarpe buone: noi avevamo dei sandali completamente chiusi con la punta rinforzata anti-infortuistica. Vetri, rocce, rottami, rovi: pare strano ma quando hai “bisogno” di toccare terra il fiume è sempre un posto rognoso. Non scendere in ciabatte, tienti a mano un paio di scarpe da esplorazione e da battaglia.
4) Quali sono le novità più rilevanti portate a casa dal recente viaggio dei vostri amici rispetto a quanto scritto già nella tua guida?
All’epoca noi non avevamo fatto nessun sopralluogo, nè avevamo gli strumenti moderni per capire cosa ci aspettasse più avanti. Il nostro è stato un viaggio alla cieca. Per questo spesso lasciavo Enzo alla canoa ed avanzavo a piedi cercando di capire cosa fosse il fragore agghiacciante di acqua che salta (imparerai a conoscere questo suono ed il modo in cui l’acqua sembra rallentare prima di cadere). Fai buon uso della cartografia satellitare ma non disdegnare una salutare passeggiata tra i rovi per farti un’idea di quello che ti aspetta più davanti. Fai attenzione quando arrivi a Trezzo, piuttosto fermati e chiedi informazioni ma non infilarti nei canali che alimentano le industrie. Non fidarti della mia guida o di qualsiasi altra documentazione. Il fiume cambia sempre, devi avere la pazienza e l’attenzione per comprendere le difficoltà e decidere correttamente come risolvere: tu devi essere la tua unica sicurezza. Laggiù gli errori rischiano di diventare problemi pesanti, quindi più hai un atteggiamento prudente e conservativo meglio stai agendo. Sul Po è tutto facile, sull’Adda è tutto difficile: testa sulle spalle 😉
Grazie, perdona lo stile ad “elenco della spesa” ma forse ci rende più facile sciogliere questi aspetti tecnici. Ciao e buona serata. Mattia.
Su alcuni aspetti, sopratutto sulla prudenza, devo essere decisamente chiaro, anche a rischio di sembrare petulante. Tuttavia se sei disposto ad affrontare una gran faticata (ripeto: una gran faticata!!) con il giusto atteggiamento mentale posso garantirti che questa sarà una di quelle avventure il cui ricordo ti accompagnerà per tutta la vita. Se hai altre domande chiedi pure: poi organizzati e goditela!
Davide “Birillo” Valsecchi