Il sole illuminava la Crestina Osa invitandomi ad approfittare della mattinata di sole che stava asciugando la roccia: infilo le scarpette da arrampicata in uno zainetto e mi metto in cammino dietro casa. Quando arrivo alla fontana di Sambrosera delle voci dall’alto mi arrivano chiare e distinte: “Molla tutto!” “Vengo?” “Recupero!” “Ma vieni o no?” “Aspetta!”. Non potevo vederli ma era chiaro che una cordata stava risalendo la Crestina: questo mandava a monte i miei piani. Raggiungerli solo e slegato mi sembra irrispettoso per la loro salita, ma sopratutto un loro eventuale errore può costarmi la pelle.
Così, vista la situazione, ho deciso di andarmene a zonzo curiosando nella zona della Crestina Verde. Dopo le piogge dei giorni precedenti non era consigliabile avventurarsi in qualche ravanata ma, ormai, ero deciso quantomeno a scattare qualche foto. Nonostante i miei propositi venti minuti più tardi ero appeso sulla roccia a curiosarne le forme e la compattezza. Quel settore è formato da guglie e creste non altissime, quasi soffocate dalle piante del bosco, in qualche modo ricorda i pilastri del Moregallo senza però averne l’estensione o la difficoltà. Mi sono alzato sulla roccia di una decina di metri e, come un giardiniere ho cominciato a guardarmi intorno.
La vegetazione, le piante morte e le foglie cadute dai settori sovrastanti, ricopre una distesa molto ampia di roccia umida quasi invisibile da lontano. Placche, pilastri e piccole creste quasi mai completamente verticali: qualcosa che da queste parti, dove tutto strapiomba, è decisamente raro. Faccio saltare un paio di sassi instabili e rimonto altre prese solide: questa zona può diventare il giusto anello di congiunzione tra le “Rocce degli Elfi”, la “Crestina Osa” ed i “Giardini Pensili”.
Ci si può alzare abbastanza per spingersi oltre il bouldering, ma i tiri rimangono comunque corti e non verticali, c’è la possibilità di uscire e di riparare su piante. Certo, al momento tutto questo non è ancora visibile e la precarietà della roccia rende tutto decisamente pericoloso, tuttavia ripulendo il giusto, non troppo, e sfoltendo i rami delle piante (assolutamente da proteggere) si può permettere ai raggi del sole di asciugare e pulire la roccia. Ci vorrà un po’, ma confesso che è un esperimento che mi rilassa e mi diverte.
Ormai sotto di me ci sono una quindicina di metri e per proseguire oltre, fintanto che non è esplorato e ripulito, mi serve perlomeno un pezzo di corda con cui assicurarmi a qualche pianticella. Così, piego in un canale ed inizio una ravanata da antologia! Già il canale si rivela molto più arrembante del previsto e sono costretto a guadagnarmi l’uscita del “couloir” mettendomi decisamente d’impegno con qualche passo piuttosto impegnativo (ma mi sono anche divertito una cifra!!)
Uscito dal canale a colpi di spaccate e mastrufolate selvagge ed ardite mi ritrovo davanti un’altro canalone formato da due creste verticali e parallele. Decisamente meno impegnativo lo risalgo sbirciando il Corno Orientale da un punto d’osservazione insolito. Ridiscendo il canale puntando verso casa ma, visto che ormai sono lì, rimonto il camino dietro la grande placca abbattuta rimontandolo fin sotto l’uscita. Ad incastro tra le due pareti del camino mi manca solo un passo per uscire in cima, ma slegato e con le scarpette da trekking, non me la sento di saltare in piedi allo sperone e mi limito ad allungare il naso oltre le spigolo. Il camino è formato da un’enorme lama che appoggia sulla parete, sul lato opposto a quello in cui forma il camino è una placca che in una decina di metri arriva a terra: non è completamente verticale ed offre difficili ma rugose prese (minimo 6a credo). Senza bucare la roccia la placca è improteggibile, tuttavia attraverso il camino è possibile provarla corda dall’alto e questo per me al momento può decisamente bastare.
Sono ormai deciso a tornare verso casa ma nel bosco vedo un grosso pilastro che si innalza tra le piante: è una pila di sassi tenuta insieme dal muschio e dall’umidità ma dalla sua cresta conto di scattare qualche bella foto alle pareti di rimpetto. Con prudenza raggiungo il mio nuovo punto d’osservazione e mi godo il panorama: “Ma quella è una grotta?”. Ai piedi della parete appare una curiosa insenatura nascosta dietro una pianta: “Bhe, andiamo a vedere”.
Riattraverso il bosco e raggiungo la parete. Ad un paio di metri da terra una vecchissima rosa selvatica nasconde una vulva rocciosa che si innalza verso l’altro di tre o quatto metri. In spaccata cerco di raggiungere la rosa. Il tronco è enorme, ma anche antichissimo e fragile.Le parti morte si sbriciolano al tocco ed ho paura che caricandoci il mio peso si stacchi tutta la pianta. Inzio uno strazno balletto da contorsionista sgusciando con il corpo tra le spine allungando le braccia fino alle labbra della grotta: sembra un parto al contrario! Finalmente riesco a distendermi all’interno rimanendo stupito da quello che mi circonda: mi aspettavo una piccola nicchia ma la camera interna è decisamente molto più grande ed alta di quanto mi aspettassi o apparisse dall’esterno. Inoltre la volta della grotta è completamente ed incredibilmente rosa! Uscire è una specie di parto nel vuoto in cui serve la giusta attenzione per slvaguardare la rosa e la propria pelle. Una grotta rosa nascosta dietro una rosa selvatica: davvero una scoperta inattesa e bellissima!
Davide “Birillo” Valsecchi