Era da un po’ che Mattia ed io non arrampicavamo più insieme, dai tempi della Gary Hemming ad Aprile. Nel frattempo è nato il piccolo Ivan, Bruna si è tirata un sasso su un piede ed un sacco di altri imprevisti hanno tenuto diviso il duo assese dei Corni di Canzo: bisognava per forza rimediare!
Così, nonostante le difficoltà logistiche, alle quattro del pomeriggio ci siamo finalmente ritrovati al crocefisso di legno sotto il versante ovest del Corno Occidentale. L’ora era alquanto tarda per attaccare una via ed un vento intenso presagiva qualcosa di oscuro nonostante il sole splendente in un cielo terso. Il vento rimontava gelido da Sud mentre nuvoloni bianchi rimontavano le Grigne dalle spalle coprendole dal Rosalba in sù. Le nuvole da nord spingevano l’aria fredda giù lungo il lago verso la pianura dove, per effetto del caldo, rimbalzava nuovamente verso nord attraverso l’Isola Senza Nome come vento gelido: “Amico mio sta girando: diamoci da fare!”
Quello che dovevamo affrontare era la prima ripetizione della nuova via di Giorgio Farina e Renzo Zappa, due veterani del Soccorso Alpino e dei Corni di Canzo. Qualche anno fa, già sessantenni, avevano aperto “Attenti a quei Due” sempre sul Corno Occidentale. Mattia e Serena avevano effettuato la prima ripetizione mentre Mattia ed Io avevamo fatto la prima invernale (…due asini a testa bassa su placca bagnata con neve tutto intorno!!). Quindi era obbligo rispettare la tradizione e scoprire dove, con caparbia tenacia, si erano nuovamente avventurati i nostri due beniamini.
Era un po’ che non toccavo la roccia dei Corni e, nonostante l’esperienza maturata nel tempo, resta sempre tra le più impegnative che mi sia capitato di incontrare. Un colore grigio intenso costellato da piccole chiazze bianche, un dalmata smussato e sfuggente costellato da asperità quasi mai vive. “Accidenti, non si scherza con la roccia dei Corni! Davvero diversa da quella su cui arrampico in questo periodo!”
Giorgio e Renzo hanno trovato un passaggio molto logico attraverso un settore del Corno Occidentale in cui sembra improbabile trovare roccia buona: un buon compromesso tra difficoltà e solidità. La via è facile da leggere, aperta prevalentemente a chiodi e rinforzata con qualche spit piantato a mano laddove ci sono passaggi erbosi e roccia incollata da capire. Il primo ed il secondo tiro hanno bei passaggi su roccia lavorata ma da valutare, il terzo è un allungo sulla cengia erbosa ed il quarto è un bel diedro verticale abbastanza tecnico e protetto tutto a chiodi. Le soste sono tutte a catena tranne quella sull’albero.
Al primo tiro, facendo lo spiritoso da secondo, mi è saltata una presa su uno spostamento e quasi sbandiero passando di sotto: probabilmente i Corni ci tenevano a rimettermi in riga! Questo solo per dirvi come, nonostante il gran lavoro fatto dai nostri due, sia importante non sottovalutare un itinerario che, nonostante alcune protezioni a spit, conserva un carattere alpinistico. A differenza di “Attenti a quei due” non ci sono tiri esageratamente tecnici (come la bella placca a gocce) o troppo “ravanosi” (come l’attacco iniziale alla nicchia o l’uscita sui terrazzi erbosi). Nella cengia erbosa hanno piazzato un paio di fittoni proteggendo un passaggio spesso godibile solo agli “amanti del genere”.
Un po’ di placca “cornica”, un mezzo strapiombo obliquo non proprio semplice, un po’ di prato, un po’ di roccia non proprio compatta, un bel diedrino da spaccata, il tutto ben protetto ma in buona parte a chiodi. Con un po’ di attenzione, ma con facilità, si riesce a comprendere come gli apritori hanno salito la via e le scelte che hanno effettuato. Probabilmente questa via (di cui ancora non conosco il nome) può divenire il giusto compromesso per permettere a chi ha già un po’ di esperienza di approcciarsi ai Corni prima di affrontare le grandi classiche dell’Isola. Rispetto ad una “Cris” sulla parte Fasana questa è decisamente meno inquietante e più godibile per cominciare. Il diedrino finale è molto bello, non altissimo ma protetto a tre chiodi con un passaggio d’uscita su prato molto istruttivo: attenzione che la roccia incastrata nella terra non sempre tiene, mi raccomando!
Io e Mattia l’abbiamo trovata molto bella e, sicuri di guadagnarci qualche imprecazione dai futuri esploratori dei Corni, ci sentiamo di dire una frase quasi leggendaria da queste parti: “Ripetuta e consigliabile”.
Ovviamente, come è ormai tradizione da un po’, all’uscita dell’ultimo tiro ci è piombata addosso una nebbia scura e gelida che ci ha messo in fuga dall’imminente acquazzone. Detto questo questo non resta che aggiungere un’ultima cosa: Bravo Giorgio! Bravo Renzo!
Davide “Birillo” Valsecchi
Normale Dotazione Alpinistica, martello e qualche chiodo scaramantico attaccato all’imbrago, fettucce per allungare, un paio di friend piccoli per l’ansia. Ad eccezione dell’albero, dove la sosta va attrezzata, le altre fermate permettono la calata. Una via dei Corni di Canzo, ben protetta ma da non prendere sottogamba.