«Questo non è il VietNam! Ci sono delle regole!» L’elicottero del soccorso alpino, trecento metri sotto di noi, continuava le esercitazioni nel canalone Bobbio. Il frastuono rimbalza tra le pareti saturando l’aria di caos e confusione. Due camosci si fermano ad una trentina di metri da noi quasi vogliano domandarmi «Che accidenti di fracasso state combinando oggi?! Siete strani forte voi bipedi! Voi altri due, poi, non lo avete visto il sentiero?» Mi piacerebbe fargli una foto ma, in quel pandemonio, ho le mani occupate a fare sicura al Guero sopra di me.
L’accordo era chiaro: andiamo a fare delle roccette semplici semplici che sono fuori allenamento con la testa. Eccoci quindi qui, con il Guero che ammucchia tra loro friend e piazza un chiodo (evento raro) per proteggere un passaggio strapiombante: «Dal parcheggio non sembrava buttasse tanto fuori!» Già, mille metri di dislivello tendono ad appiattire le prospettive…
Finalmente capisco che è in sosta ma, con il fracasso dell’elicottero, è impossibile capire cosa mi stia urlando. Quindi parto e, per far prima, mi lego a metà della corda senza aspettare che la recuperi tutta. Già, roccette facili…
Rassegnato mi applico alla salita cercando di lavorare bene di piedi e di guadagnare il più possibile evitando movimenti troppo intensi o faticosi: in pratica arrampico come andrebbe fatto. Rimonto fino a dove strapiomba, studio i piedi e mi alzo oltre il passaggio. Mi attaccato ad una manetta ma prendo il martello con l’intento di schiodare. Il mio economico canapone arancione dell’ 11 però non ne vuole sapere ed appena provo ad appoggiarci il peso si allunga verso il basso. Cercando di metterlo in tensione mi abbasso e rimonto nuovamente lo strapiombo (e siamo a due). Nel fracasso urlo a Guero di tirare ed il canapone sembra irrigidirsi un po’ ma ad ogni tentativo mi riappoggia comunque sotto lo strapiombo. Risalgo un’altra volta (e siamo a tre) ma non c’è verso di riuscire ad utilizzare quella corda per schiodare: devo riuscirci tenendomi con una mano sola.
Prendo un appiglio verticale con la destra e provo ad usare il martello da mancino tenendomi sui piedi. I risultati sono scarsi, il corpo è tutto fuori asse e comincio ad essere stanco: il chiodo non vuole uscire. Per un secondo accarezzo l’idea di abbandonarlo mentre la stanchezza comincia a sussurrare maligna «Arrenditi, lasciati cadere, lasciati sulla corda e fatti calare. Vai a casa, lascia perdere, accettati.» Strani momenti quando arrampichi.
«Nella migliore delle ipotesi la sosta sarà un cordino attorno ad una pila di sassi su cui sta seduto a gambe incrociate il Guero…» Un pensiero buffo, distorce la realtà descrivendola però nella sua essenza. «Non puoi arrenderti Birillo, questa è la realtà. Semplicemente non puoi». Dura un istante ma finalmente qualcosa scatta, qualcosa che non sentivo da tanto, forse troppo tempo. Non c’è rabbia, non c’è ansia, ma solo una ritrovata consapevolezza: sono lì.
Cambio mano, ed incrocio le braccia mentre riposiziono i piedi. Riprendo il martello e schiodo, …finalmente. Riparto, rimonto ancora lo strapiombo e mi appoggio con i piedi su un ballatoio. Ho il fiato corto, incastro un avambraccio in una fessura e sgagio qualche sasso con i piedi fino a trovare un appoggio solido. Diritto non salgo, respiro, giro le anche e vado in spaccata con la gamba sinistra cercando dove pareggiare con il piede destro. Vado, arrampico, un diedrino delicato e sbuco con la testa su una cengia erbosa. Il rumore dell’elicottero si è finalmente allontanato: «Hey Biriz! Fermo lì che ti faccio una foto!» (…quel curioso aggeggio che usa per farmi sicura bloccherà se lascia le mani?)
Quando arrivo in sosta (assolutamente solida) mi sento diverso. La mattina, quando mi ero alzato lavandomi i denti davanti allo specchio, mi sentivo stanco, sentivo crampi e dolori ovunque. Il morale era sotto i tacchi. L’altra sera, a cena dai miei, mio padre mi aveva fissato dritto negli occhi «Che stai combinando? Sembri invecchiato tutto di colpo!». Ma ora, a quella sosta, sembra esserci una persona diversa: «Ciao Sguero, eccomi finalmente!»
Il tiro successivo la roccia è bellissima, “leggermente” friabile all’attacco ma poi strepitosa. Mi muovo e respiro, lasciando che siano i movimenti a guidarmi. Devo essere grato a quel vecchiaccio: forse non siamo sulle roccette che mi aveva promesso ma il risultato è stato di certo quello sperato. Eccomi qui, sono di nuovo qui.
L’ultimo tiro è un camino, un po’ orrido, ma piacevole. Poi eccoci qui, appena sotto la cima del Dente, mentre traversiamo su altre roccette curiosando qua e là. Insacchiamo il materiale e giù, nuovamente per il canalone Bobbio. A Lecco ci infiliamo nella solita birreria «Esami a Settembre: chiamiamola così.» Al Guero piace, o forse manco gli interessa: è felice, della via, della roccia, di come abbiamo arrampicato. Ingolliamo un paio di birre medie mentre ci servono patatine per pranzo. «Sguero, prima del treno abbiamo ancora tempo: cambiamo finalmente il vecchio canapone arancione? Mi aiuti a sceglierlo?» Come due adolescenti molesti e logorroici ci infiliamo nel negozio di “Gigi Che Sbatta” che, con pazienza stoica, appoggia sul bancone la nostra nuova corda. Esami a Settembre: finalmente passati.
Davide “Birillo” Valsecchi