I ragazzi mi hanno bidonato: ormai sono in grado di organizzare cordate indipendenti e sono andati a ripetere qualche via disertando il mio invito all’avventura. Sono cresciuti mentre io sono rimasto il solito vecchio squinternato. Forse è giusto così. Sorrido, in fondo sono contento: l’unico a rischiare la pelle oggi sarò io.
Aspetto che il sole si faccia caldo ed esco di casa. Imbocco un sentiero a caso e da piazza Fontana arrivo a via Preguda. La strada è invasa di auto parcheggiate: una piccola folla è salita alla chiesetta del Sasso per la messa. Giro al largo, taglio dritto per il bosco, attraverso i terrazzamenti puntando a rimontare direttamente la Forcellina.
Con un certo disappunto mi ritrovo a districarmi tra recinzioni e “divieti d’accesso”. Appeso agli alberi scavalco rovi e filo spinato maledicendo la “possessività” del genere umano. Tra un’imprecazione e l’altra mi accorgo però di non essere il solo in quello scomodo labirinto: mi imbatto prima in una coppia di caprioli e poi in un intero branco di mufloni. Ci guardiamo l’un l’altro con curiosa e selvatica complicità!
Poi finalmente raggiungo le rocce sotto la Forcellina. Sebbene molto friabili trovo qualche passaggio interessante e rimonto raggiungendo un boschetto illuminato da un sole splendente e da un panorama strepitoso.
Raggiungo le panchine della Forcellina e mi incammino lungo il sentiero “Paole e Eliana”. Infilo il casco, mi fermo su sasso di granito, ammiro la mia meta: la sommità dell’anticima del Moregallo. Davanti a me ci sono un susseguirsi di creste e guglie attraversate da profondi canali che ho osservato risalendo dalla Valle due Pile. In un silenzio forse colmo di solitudine inizio a salire.
Se invece dell’erba ci fosse ghiaia e pietrisco la mia salita avrebbe un che di dolomitico. Mi sposto stra cenge e canali aggirando speroni e rimondando balze rocciose. Tutto attorno a me è un campionario di forme e linee dall’orignalità straodinaria. Spesso mi fermo ad osservare le strane pose il mondo circostante è capace di assumere. La natura ha davvero una sconfinata fantasia!
Il vuoto della valle sottostante comincia a farsi sentire. Il bosco e la Forcellina sono lontane e tra qui “prati rocciosi” la verticalità comincia a prendere il sopravvento. Supero la prima “cima” ed attacco la successiva. Mi muovo con calma cercando di capire in quali punti passare senza lasciarmi sorprendere. Raggiungo la base della seconda cresta e mi sposto verso sinistra per osservare il canale sottostante.
Dal basso avevo visto dei bei muraglioni apparentemente non troppo difficili ed ero curioso di scoprire se esistevano passaggi che permettessero di passare. Mi ritrovo invece su una bastionata che precipità di oltre sessanta metri. Osservo stupito dall’alto le mille guglie sottostanti. “Di qui non si passa senza corda, non puoi disarrampicare, è troppo alto, troppo difficile, troppo sconosciuto”.
Il cuore accellera prima che me ne renda conto. La mia mente ed i miei occhi corrono tra le rocce, con la frenetica razionalità di un robot cercano linee e schemi che mi permettano una via d’uscita. Il mio cervello diventa una macchina fotografica e le immagini si riempiono di tracciati luminosi che ballano tra le rocce: ”Se sbaglio… se non vi è uscita oltre la cresta… se c’è uno strapiombo… se resto bloccato…”. La sensazione che mi ha investito è intensa, pervade ogni mio gesto. “Scusa Birillo, ma hai paura?”.
Le emozioni sono roba forte, roba che ti salva la pelle o che ti spedisce sotto terra. Faccio qualche passo, raggiungo un pianerottolo e mi siedo comodo. Tolgo lo zaino, estraggo la bottiglietta d’acqua ed il sacchetto di frutta secca. Il cuore rallenta e la mente si riallinea: sono nuovamente io il capitano di questa nave tra gli scogli.
Mentre sgranocchio ripenso ad un passo del nuovo libro di Ivan, “Il Trono Remoto”: “Arrampicate solitarie e relative difficoltà: ….la Solitaria Esplorativa Integrale – parete sconosciuta senza mezzi tecnici si affronta una difficoltà incognita e intata – è tra tutte la più impegnativa per la condizione ignota che affronta e l’incognita intatta che supera. Le altre tipologie si rivelano nient’altro che solitarie adattate alle differenti “capacità o incapacità” degli scalatori che le praticano “abili o mediocri” che siano.” Rido pensando a come quel vecchiaccio spesso abbia ragione da vendere.
Guardandomi attorno mi rendo conto di non essere sull’immensa parete del Manduino ma, in modo proporzionale, questo non fa molta differenza. L’invisibile nemico che aveva cercato di aggredirmi non aveva nulla a che fare con la montagna su cui sto salendo. Non era fatto di roccia e vuoto, era “materia” che avevo portato io fin qui sù e che non apparteneva a questa cresta.
Rinfilo le mie cose nello zaino che, per intenderci, è quello che Ivan usava in val di Mello e che ha poi regalato a Bruna. E’ uno zaino troppo piccolo per infilarci cose inutili: abbandono le incertezze che mi sono tirato dietro e ci infilo la piccola lezione appresa.
Affronto un passaggio un po’ esposto ma su roccia buona (“basta non cadere….”) e finalmente raggiungo la cima della cresta. La strapimbante valle muore in un canale erboso, tiro fiato e smonto dalla cima per affrontare la cresta successiva, quella che corre sul lato sud dell’anticima del Moregallo.
Imbocco un canale e rimonto seguendo una linea di piante arrampicando tra l’erba. Poi, piegando verso sinistra piego verso il filo di cresta raggiungendo il grande tetto che mi ero ripromesso di osservare. In quel punto, sul versante opposto, una cengia rocciosa risale verso l’alto attraversando la strapiombante parete Sud dell’Anticima. Noi “Badgers” abbiamo chiamato quel tratto il “Corridoio” ma nessuno di noi si era avvicinato abbastanza da osservarlo direttamente.
Per scendere fino alla base del tetto devo disarrampicare per tre o quattro metri una piccola placca appigliata. Sotto la placca però ci sono cento metri di vuoto senza appello. Trovo un paio di clessidre in cui infilo il cordino da quattro metri che avevo agguantato per sfizio uscendo di casa. Aggrappato “a mano” a questa solida sosta provo ad abbassarmi arrampicando in discesa. I piedi non danno però sicurezza e qualcosa si muove. “Dannazione, ci sono così vicino! Se solo avessi avuto lo spezzone da dieci metri e qualcuno a farmi sicura!”. Attendo ancora un istante, poi desisto. Le due clessidre sono solide, sono un buon segno, un regalo che non va spReCato con scelte sciocche.
Rimonto la cresta arrampicando sul limite del bosco: è davvero un bel posto. Finalmente raggiungo la cima e mi siedo un istante ad osservare il panorama. Era tanto che volevo salire quassù. Alle mie spalle un placido prato scende fino al sentiero, ma seguire quella strada non sarebbe stata la stessa cosa.
Davanti a me, oltre la grande valle, una folta comitiva di arrampicatori risale la crestina OSA. Urlano, sbracciano e fanno un gran baccano gridando al compagno di recuperare corda. Li guardo e mi viene un po’ da sorridere: in settimana l’ho ripetuta in notturna con la luna piena e spesso la percorro slegato ed in solitaria.
Tuttavia anni fa, sempre in solitaria, avevo dovuto disarrampicare tutto il primo tiro perchè giunto al primo passaggio esposto il mio zaino colmo di “materiale inutile” aveva cominciato a pesare troppo. Forse erano stati gli scarponi da trekking che scivolavano sulla roccia o forse anche la Crestina voleva insegnarmi qualcosa (…e vi garantisco che ho imparato!).
Sulla strada di ritorno ho incontrato due ragazzi che, nella luce del tramonto, osservavano le guglie del Moregallo. “Ciao, tu sai se quella è la Crestina Osa? Vorremmo salirla, ci hanno detto che è facile ma noi siamo alle prime armi”. Mi fermo, gliela indico e gliela racconto. “Solo un coglione vi dirà che la crestina è facile. Quello è il regno dei tre vuoti: al più possono dirvi che se fate le cose nel modo giusto non è difficile. Tuttavia non pensiate di poterla predere sotto gamba: portatevi una buona scorta di fettuccie, sceglietevi un buon giorno e godetevi la vostra avventura”.
Ci salutiamo stringendoci la mano. “Grazie mille per le informazioni: ci alleniamo ancora un po’ al pannello e poi proviamo a farla”. Ecco, appunto, non avete capito un cazzo…
Davide “Birillo” Valsecchi