Nella primavera del 1974 Don Agostino Butturini propone ad alcuni ragazzi di seconda e terza media di partecipare al Corso di Alpinismo “Attilio Piacco” del CAI di Valmadrera. L’esperienza si rivela positiva, e le prime salite piacciono a tal punto che molti di loro vogliono andare avanti. Don Agostino intuisce così che l’arrampicata può essere un valido strumento di crescita per ragazzi di quell’età; il fatto poi di essere a Lecco, una delle capitali dell’alpinismo italiano, rende le cose più facili.
Grignetta, Medale, Nibbio, Sasso Remenno; vie di terzo e quarto grado con qualche puntata sul quinto per i più bravi. C’era solo il Don a “tirare” da primo, e così bisognava fare i turni, stabiliti in settimana durante l’intervallo delle lezioni in Collegio. Nel corso di queste prime esperienze, “il Don” matura un’idea che lancia su un campo di calcio durante la ricreazione: vuole formare un gruppo alpinistico che raduni dei giovani con la passione per la montagna, che per lui diventa così un mezzo per crescere con gli altri, imparare a conoscersi ed accettarsi, ed apprezzare la natura; non un fine per imporsi o competere.
Nel 1975 nasce il Gruppo Condor ispirato al grande rapace andino sinonimo di libertà, di grandi spazi, di montagne. L’attività principale del gruppo è rivolta all’arrampicata, proporzionando il livello delle imprese domenicali alla giovanissima età dei protagonisti. Nel corso degli anni comunque anche alcuni giovani Condor riusciranno ad esprimersi ad alto livello sulle Alpi: le aspirazioni al proprio miglioramento tecnico non venivano represse; si cercava solo di contenere l’eccessivo spirito competitivo.
Contemporaneamente alle ripetizioni degli itinerari classici in Grignetta ed in Medale, Don Agostino individua un terreno di gioco del tutto inedito, dove trasmettere ai suoi ragazzi il gusto per la ricerca. A pochi chilometri da Lecco, in Valsassina, un complesso di piccole strutture rocciose ai lati della strada provinciale diventa quindi una vera e propria palestra “personalizzata”, dove i giovani Condor si fanno le ossa con le manovre di corda ed i trucchi del mestiere in un ambiente sicuro, aprendo insieme al Don, sempre rigorosamente dal basso, una lunghissima serie di vie nuove. Le pareti della Gran Placca, del Sasso di Introbio e della vicina Rocca di Baiedo, oltre al sovrastante Zucco dell’Angelone diventano ben presto una zona apprezzatissima anche da altri scalatori.
Anche il periodo in cui si collocano la nascita e le prime vicende verticali del Gruppo Condor è particolare: nei primi anni ’70 si assiste al radicale rinnovamento nella mentalità alpinistica, che genera una fase assai vivace e molto stimolante che coinvolge ed appassiona i giovani Condor (e lo stesso Don Agostino). Una specie di “sessantotto” dell’alpinismo dove vengono messi in discussione gli stereotipi dell’alpinismo classico. Per ognuno dei Condor quindi è successo più o meno così: “il Don” ha buttato l’esca, indicando una strada possibile, quindi ad un certo punto si è fatto da parte ad osservare, prendendo nel frattempo per mano qualcun altro più piccolo.
Questa è una piccola Biografia del “Don” pubblicata qualche anno fa sulla rivista del Cai “LoScarpone”.
Quanto ha influito la filosofia dei Condor sulla formazione dei Badgers? Io credo che senza l’esempio di Don Agostino il nostro scalcinato gruppo di squinternati non sarebbe lo stesso, forse non si sarebbe nemmeno nato. Oggi non ci si confronta più con gli stereotipi degll’alpinismo classico, piuttosto si cerca di porre freno alla stupidità, gretta, egoica ed opportunista, dell’alpinismo moderno. La filosofia di Don Agostino, nonostante abbia ormai oltre quarant’anni, profuma ancora di speranza, di amicizia, di libertà!
Il tasso, Badger in inglese, è un animale schivo e selvatico che vive in comunità familiari scavando la propria tana sotto terra. Lemmy, la nostra mascotte, abita l’angusta grotta alle spalle del pilastrello dei Corni: non ha il fascino del Condor Andino ma possiede tutta l’arcigna determinazione che il nostro piccolo gruppo ha ereditato dalle sue origini Speleo.
Venerdì Bruna ed io siamo saliti alla Rocca di Baiedo per ripetere “Solitudine” una delle più famose vie tracciate da Don Agostino con i Condor. Eccovi il racconto della prima salita così come è stato pubblicato sul “giornalino” dei Condor nel 1978:
“CONDOR E’ BELLO
Dopo la Via della Solitudine. Paolo, Danilo, Michele, Giovanni e Don in cerca di avventure. Domenica in Albis; tempo incerto! La Rocca di Baiedo si alza dai prati come un corpulento castello del quattrocento. Non è mai stata scalata e si capisce perchè… Roccia e giungla si sposano insieme e si distendono in alto in una enorme placca di 80 metri. La gamba non va bene ma non voglio deludere i ragazzi. Il camino iniziale è già stato da me attrezzato in precedenza, ma oggi è una buccia di banana. I quattro in basso si raccontano facezie e io mi sto dannando… spero solo che guardino il ‘mezzo barcaiolo’ assicurandomi a dovere. Traverso nella foresta e mi ricordo di aver promesso a Microbo questa salita… ma da qui ora non si scende più. Spero che Microbo mi capisca. La placca, finalmente”!Dopo pochi metri mi accorgo di essere solo… La solitudine del primo di cordata su un terreno vergine. Ebbrezza nel toccare questa bianca roccia incontaminata e rabbia perché nessuno ti ‘segue’ in questo tuo gioco pericolo. Dopo 35 metri annuncio il sesto grado e Paolo scatta come un cobra. Era ora. Porco cane, piove! Sotto di me c’è aria di rinuncia, mi sposto più a sinistra e pianto un cuneo alto. Beh! In caso di volo faccio un pendolo di quindici metri anziché una verticale di venti.Solitudine! A tu per tu con una roccia glabra e sorda. Per loro, sotto è scontato che passi, ma tu, Don, sei proprio sicuro? Non è incantevole la poltrona e quel disco di Rubinstein? Che ci stai a fare qui? E’ andata. Danilo e Michele si affilano le unghie, Paolo e Giovanni mi raggiungono! E adesso? Prendo una fessura, ma sul più bello, mi muore davanti a quaranta metri di roccia inchiodabile. Passo a sinistra con un semituffo in rovi antichi come i patriarchi e dopo una larga fessura in Dulfer eccomi di nuovo sul ‘liscio’: devo passare di li. E’ un traverso delicatissimo di dieci metri, mentre sento i ragazzi che ridono e parlottano di tutt’altro… Ora mi son fatto l’abitudine ad essere solo. E’ tutto facile, dopo. L’ultimo tiro, una rampa d’erba la faccio condurre ai miei due secondi. Io mi slego e arrivo in cima…
Nessuno! Mi vengono incontro dopo due minuti. Ci stringiamo la mano felici. Mi siedo stanco e loro due, allegri, se ne vanno a parlar fitto dieci metri più avanti.
– Dai! Venite qui.
– Certo, subito.
E’ proprio la “Via della Solitudine”, Don!
Non riesco mai ad abituarmi… Che sia ora che cominci?
– Ehi, Don. Guarda che zaino mi porto!
Non sono più solo. Era solo la nostalgia di un pomeriggio di primavera.”
Don Agostino Butturini
La roccia della Rocca di Baiedo è bellissima, generosa di appigli e di clessidre a cui assicurasi. A tratti però si trasfoma diventando una placca compatta che richiede di essere letta e compresa. Non l’avevo mai fatta e scoprila con Bruna, mia moglie, è stato un inaspettato ed appagante piacere.
La nostra giornata si è conclusa nel migliore dei modi. A casa nostra, la tana dei Badgers, si è tenuta la consueta “TassoConsulta“: la riunione del nostro gruppo, il mensile pretesto per far festa tutti insieme. Presenti all’appello ben tredici tassi su venti, oltre ad una quantità industriale di birra! Molto Bene!
Davide “Birillo” Valsecchi