«Hey Socio, Sabato torniamo all’Eghen?» Questa era la domanda, semplice e diretta, che mi ha fatto Mattia al telefono. Una nuova “missione” al Camino Cassin era qualcosa che ci eravamo prefissati fin da subito, fin da quando eravamo riemersi dalla tempesta che ci piombò addosso il Quattro Luglio.
Durante la nostra salita della via di Cassin ci esplose il cielo sulla testa costringendoci a dare battaglia per la pelle: tra la pioggia ed i fulmini sono volato su un traverso, abbiamo dovuto abbandonare alcuni chiodi, un rinvio e qualche fettuccia per poi bivaccare in un buco scavato a colpi di mazzetta.
«Mattia, amico mio, io sabato prossimo mi sposo: non credo sia una furbata infilarmi nel Camino Cassin una settimana prima delle nozze.» Mattia non era affatto convinto o soddisfatto della mia risposta. Ha atteso un attimo e poi mi ha risposto.«Vabbè, allora ci vado da solo». Io pensavo scherzasse e non mi sono preoccupato più di tanto: mi sbagliavo!
Quello che segue è il racconto di come Mattia Ricci, in solitaria, ha fatto ritorno all’Eghen.
Sono uscito da casa alle 5.40, ero in ritardo rispetto al programma ma, recuperando minuti preziosi, alle 6.40 riesco a partire dal parcheggio del Cainallo. Dopo aver attraversato la Val Mulini giunto al sentiero verso il Rif. Bogani decido di raggiungere la Costa del Palone passando dalla Ghiacciaia del Moncodeno. Per farlo seguo la traccia degli animali che transitano di li: una scorciatoia scoperta grazie ad un sopralluogo fatto con Matteo, mio figlio, e Serena, la sua mamma.
Nessuno dei canali che precipitano verso la base del Pizzo sembra quello percorso con Davide e questo mi costringe ad una veloce visita fuori programma alla vetta del Palone. Torno indietro sino al secondo canale che decido di scendere. Poi seguo un’invisibile traccia che attraverso mughi e interminabili sali-scendi mi porta alla cima del Pizzo d’ Eghen. Nonostante la variante fatta e i 18kg di materiale sulle spalle alle 9.40 raggiungo la vetta.
Tiro il fiato e segno sul libro di vetta la nostra ascesa del 04/07. Poi indosso l’attrezzatura speleo e, zaino in spalla, con molta cautela mi avvicino alla zona da cui dovrebbe uscire la via ‘Prigionieri dei sogni’. L’idea è di calarmi verticalmente dall’ultimo tiro della via ed entrare nel camino fino a raggiungere la sosta della via Cassin da cui, a luglio, abbiamo attraversato verso la cresta. A disposizione avevo, oltre ad una vasta scelta di chiodi, cinque spit d’emergenza, una dozzina di moschettoni paralleli a ghiera, fettucce e cordini vari,101 metri di corda divisi in una 60, una 30 ed uno spezzone da 11.
Purtroppo i primi 60 metri, dopo quattro frazionamenti su fix già presenti, finiscono a 20 m da terra proprio dove, a valle dell’ultimo fix, parte un tiro da 30m nel vuoto senza possibili frazionamenti. Recupero i 10m di corda rimasti e con la 30 armo la calata.
Scendendo ho la conferma di quello che vedevo dall’alto: la corda termina ad un metro da terra, mi rimane cosi solo lo spezzone da 11. Ho però raggiunto la sosta ‘originale’ della Cassin circa 7m a monte di quella che avevo realizzato a luglio sopra il sasso con il famoso canapo marcio.
Rinforzo la sosta con un chiodo a lama piatto e prolungo quello che riesco: lego lo spezzone e arrivo fin sopra il sasso incastrato. Mi allongio nel chiodo utilizzato per la sosta della volta scorsa e guardo sotto nel vuoto: per continuare dovrei frazionare la calata ma ormai mi rimangono non più di 3m. di corda. Pochi, non abbastanza per raggiungere i due chiodi da me lasciati infissi con tanta fatica.
Nel camino rimbombano gridi d’ira!! Volevo portare due corde da 60 ma sia perché ottimista, sia perché ero già carico come un mulo, avevo optato per una trenta!!
Tolgo il chiodo ad U di sosta e risalgo i sette metri di sfasciume. Infilo la testa in quel buco visto appena sceso che si rivela, per logica, la via originale di Cassin.Con la poca corda rimasta raggiungo il primo masso incastrato una decina di metri all’interno del camino, circa quattro – cinque metri sotto vi è un altro masso e sotto, dopo altri cinque metri, la base dell’orrido e buio camino.
Con la corda sarei arrivato al successivo masso, ma non potendo frazionare c’era il rischio che la corda lavorasse pericolosamente sui vari detriti. Faccio alcune foto e disarmando, poi risalgo pian piano guardando il selvaggio e spettacolare ambiente.
Raggiungo l’ultimo fix da 10 della via e recupero le corde. Sulla cresta avevo fatto partire la calata da un mugo e questo mi permette di risalire in “accettabile” sicurezza la cima dell’Eghen.
Lascio due righe in aggiunta a quelle precedenti speranzoso che chi percorrerà la via Cassin rimuova i due chiodi da me infissi, così da lasciarla come all’origine. Scatto qualche foto di vetta di rito, sistemo il materiale nello zaino e parto verso il rif. Bogani che raggiungo alle ore 15. Lungo la via, come da tradizione Cassin, costruisco qualche ometto per segnalare la via, soprattutto in uscita dal canale di sfasciume verso la costa del Palone.
Nonostante non sia riuscito a togliere i due chiodi sul tiro riparto soddisfatto verso l’auto perché comunque gli obiettivi principali erano: 1. Tornare a casa sano 2. Tornare a casa presto. La cosa positiva è che anche all’interno del profondo camino, ed in quasi tutta la zona del Pizzo d’Eghen, c’è la copertura della rete mobile. Questo mi ha permesso di tenere aggiornato e non far preoccupare (più di tanto) chi mi attendeva a casa.
Un’esperienza incredibile in un posto estremamente bello e selvaggio.
Mattia Ricci.