Quando suonano alla porta sono ancora in mutande e sbadiglio. “Hey, sei in anticipo! Ti aspettavo tra mezz’ora…” Mav oscura la porta ed entra “Ero già in giro da un po’…”. La mia casa è il quartier generale dei Badgers ed è giusto che sia così. Bruna sgattaiola dal letto al bagno, io accendo il caffè ed inizio a riempiere un po’ a caso lo zaino: “Hai tu le corde?”.
Con Boris ero stato in Grigna il giorno prima e sentivo nella schiena tutti i duemila metri di dislivello che avevamo fatto. Ma i Corni sono i Corni ed il Pilastrello è un “rito di passaggio”. Ingollo qualche biscotto e ci mettiamo in marcia. Parcheggiamo in centro a Valbrona e ci infiliamo nel bosco: io, Bruna e Mav.
Dai 400 metri di Valbrona ai 1200 del Rifugio Sev sono altri 800 metri di dislivello ma qui, in casa, pesano meno ed i piedi conoscono tutti i sassi. Sfiliamo sotto la parete Fasana e raggiungiamo il “canyon”. Bruna è in forma e rilassata ma il freddo dei Corni si fa subito sentire nonostante sia Giugno.
Bruna indossa un giacchino, Mav “ilVichingo” invece infila l’imbrago ed una canottiera. Io mi butto addosso una maglietta a maniche lunghe ed attacco il K-Way all’imbrago. La Fasana ed i pilastri sono in ombra ed esposti al vento che scende dal lago, si viaggia coperti da queste parti.
La normale al Pilastrello, la via tracciata da Eugenio Fasana e Vitale Bramani nell’Ottobre del 1922. Due tiri sulla roccia dei Corni quasi “vuoti”, quaranta metri di sviluppo, trenta di altezza, uno spit e tre grossi anelli. Al più un paio di fettucce in clessidra. Non difficile ma neppure banale.
Sono un po’ rigido e le piante dei piedi sono poco sensibili. Mi guardo intorno salendo e per un istante rivivo la mia “prima volta” al Pilastrello, la mia prima salita da primo. Tasto quella roccia priva di appigli e densa di appoggi sfuggenti. Rivivo quegli istanti intensi e confusi dove la paura si fondeva con la concentrazione. Non conoscevo la via ed ero con un amico anche più inesperto di me che provava farmi sicura con un mezzo barcaiolo. Non avevamo nemmeno i rinvii ma solo qualche moschettone e degli anelli di corda. A modo suo quella fu una grande salita!
Arrivo in sosta, mi appendo ad uno dei grandi anelli e recupero Mav su una mezza corda. “Sali piano e goditela! Va capita”. Lo osservo salire e non posso altro che constatare quanto sia migliorato dalla prima volta in cui ci siamo incontrati, da quel giorno di pioggia speso a far manovre di corda proprio in quella spaccatura.
Non ci sono appigli che gli permettano di sfruttare la sua grande forza, deve salire morbido, in appoggio sul liscio. Quando mi raggiunge parte anche Bruna. Per lei questa è la seconda volta. Al primo giro la roccia dei Corni l’aveva davvero spaventata ed il primo tiro l’aveva superato insultandomi senza tregua!
Ho visto Bruna arrampicare senza difficoltà con Ivan Guerini, in apertura e su passaggi tecnicamente più difficili. Ma i Corni sono fatti a modo loro, sono increspature nel mare prima della pioggia. “Come va?” le chiedo.“Si sale ma non hai mai una sensazione di sicurezza, non ti senti mai saldo. Non ci sono appigli per le mani ed i piedi non danno sicurezza”
Il giorno prima, in Grigna, ero rimasto affascinato dalla rugosità della roccia, dalle minuscole ma ruvide increspature che ricoprono la superfice. Anche ai Corni è calcare ma più compatto, più liscio, levigato e sfuggevole. Forse è anche per questo che non esistono vie “unte” ai Corni, nemmeno sui pilastri.
Riparto dal terrazzino e rimonto i roccioni prima del muretto. So che sono appoggiati lì da sempre, che tutti ci sono saltati sopra e che probabilmente non cadranno mai. Tuttavia le rimonto morbido perchè, in fondo, da queste parti non conviene dar nulla per scontato. Al mio primissimo assalto mi ero arenato sul muretto, così avevo attraversato verso destra lungo una cengia fino a rimontare sul lato opposto del pilastro. Avevo trovato un chiodo su cui avevo fatto sosta, da quel punto la salita alla cima mi sembrava più facile e per rocce rotte.
Il mio socio, assoluto neofita, doveva però affrontare un traverso senza protezione di oltre dieci metri. Se fosse caduto avrebbe fatto un volo terrificante protetto solo da una sosta ad un chiodo. Così, preoccupato, avevo ripercorso il traverso tornando ad affrontare il muretto. L’inesperienza rende eroici!!
In molti superano il muretto aggirando lo spigolo sulla sinistra: è più esposto ma appigliato. Io all’epoca non me la sentivo di sfidare il vuoto, mi distesi ed allungai le mani fino a raggiungere il bordo del terrazzino successivo. Un respiro e mi tirai su dritto per dritto. Ancora oggi, con un sorriso compiaciuto e nostalgico, lo passo così.
Un ultimo rimonto e poi la croce, dove Gianni Mandelli ha piazzato un nuovo anello per la calata. Mi siedo a cavalcioni e finalmente il sole arriva a scaldarmi. Mi metto comodo e mi godo il momento perchè, comunque sia, è sempre un bel momento.
Recupero Mav e Bruna, tutti insieme tiriamo il fiato stretti sulla vetta. Qualche foto e poi iniziamo a trafficare con le corde. Curiosamente per Bruna questa è la prima calata in corda doppia. Faccio scendere Mav per primo e le mostro come fare. Nel mentre una voce dal fondo del canyon mi chiama dal basso: “Birillo butta giù una corda che vengo su!”
La voce è quella di Stefano. Il Soccorso Alpino aveva un presidio alla Ferrata del Venticinquennale e prima di smontare era passato a cercarci ai pilastri. “Lascia che scenda Bruna e poi ti recupero”. Bruna inizia la sua discesa, titubante sui primi metri e poi sempre più divertita “Scendi piano e guarda sempre dove tocca la corda!”
Ridendo arriva incolume a terra ed inizio a recuperare Stefano che sale dritto per dritto fino al tetto per poi rientrare sulla via. Ci stringiamo la mano mentre guardo divertito i fregi sul suo casco “Dannazione, farmi venire a prendere dal Soccorso sul pilastrello è uno dei miei incubi peggiori!” Scherziamo insieme godendoci il sole, poi ci caliamo ripiegando verso la birra del Rifugio.
A modo suo anche questa è stata una Grande salita. Bravo Mav, benvenuto ai Corni!
Davide “Birillo” Valsecchi