La mia generazione ha vissuto una serie di strani fenomeni di “digital divide”, frontiere tecnologiche che hanno diviso la storia in un “prima” e “dopo” e che spesso hanno generano “gap” quasi insormontabili. Uno di questi, per finirla con i termini anglofoni ed arrivare al punto, sono le diapositive.
Penso che le generazioni future non crederanno mai che in un tempo mitico esistesse il VHS e che le fotografie fossero spezzoni di pellicola incorniciati in un frame di plastica e che, in gruppo, venissero viste al buio su di un muro. Già, a pensarci bene sembra di parlare di dimenticate forme di pittura rupestre.
Comunque sia, visto che il tempo era piuttosto inclemente, oggi ho rovistato tra gli armadi di casa uscendone coperto di polvere ma anche stringendo tra le mani un oggetto quasi mitico: il proiettore per le diapositive. Quella che state leggendo è quasi una confessione perché quando mio padre scoprirà che sto armeggiando con il suo proiettore dovrò fare fronte ad una serie di divieti infranti che risalgono probabilmente alla mia adolescenza!
Quell’aggeggio risale al 1992 e, confesso, ero piuttosto preoccupato nel usarlo, specie quando all’inizio produceva strani e sinistri rumori senza emettere alcuna forma di luce. Grazie ad Internet ed al potere degli idrocarburi di origine fossile ho recuperato un paio di lampade nuove (quella originale era allegramente scoppiata al primo avvio) ed ho iniziato a trafficare a “cofano aperto” sull’aggeggio. Il bello della tecnologia analogica è che si aggiusta con un paio di neuroni ed un cacciavite, forse è anche per questo che l’esplorazione spaziale è terminata con l’avvento del digitale…
Quando finalmente tutto sembrava funzionare non è rimasto che scegliere tra le migliaia di foto ed iniziare ad esplorare il passato. Mi è sembrato giusto cominciare da dove ha avuto inizio tutta questa storia: Cima Asso, 5100metri, Pakistan.
Le diapositive ufficiali di Cima Asso le conserva Ciano in una valigetta nera ammantata di mistero. Nel mio armadio infatti c’erano solo alcune delle tante foto “venute male” o “scartate”. Tuttavia la prima che ho estratto (quella che vedete in alto) era talmente curiosa che tutto mi è sembrato avere un senso.
Il mio piano era infatti provare ad acquisire un po’ di immagini proiettando sul muro e scattando con una macchina digitale. Per questo, con una frontale attaccata alla testa, ho iniziato a trafficare come un operatore di un cinematografo d’altri tempi.
Quello che seguono sono alcuni degli scatti acquisiti. Va detto che spesso le foto originali erano sfuocate, buie o mosse, tuttavia credo che l’ esperimento di acquisizione sia stato positivo (anche se si può davvero migliorare!!). Io credo che queste immagini, nella loro ruvidità impalpabile, conservino una strana magia.
Ecco a voi il Pakistan del 1999 e qualche scheggia della grande avventura che fu l’esplorazione e la conquista di Cima Asso. Saranno almeno dieci anni che non vedo queste foto!
La foto di apertura è un omaggio al mio amico Cristian (che forse da troppo tempo non vedo, purtroppo). Quella volta in una valle sorvegliata da un ingente presidio militare abbiamo percorso quasi quattro ore di jeep attraverso distese sterminate di piante di Marijuana, pianta che in quei territori cresce infestante come le ortiche.
Angelo, il nostro capo spedizione, ci avrebbe tagliato le mani se solo avessimo pensato di avvicinarci: già, su permesso del Governo esploravamo spazi bianchi sulle mappe al confine tra Afganistan e Pakistan, eravamo tutti giovani ma in un paese mussulmano come quello non potevamo assolutamente combinare la ben che minima pirlata.
Tuttavia quel giorno eravamo in una specie di Eldorado della Cannabis ed Angelo, visto che ai militari non sembrava interessare troppo la cosa, ci lasciò scattare qualche foto documentaristica. Cristian, che era una montagna d’uomo, voleva fare l’asino ed insistette per farsi scattare una foto mentre con la testa sbucava da una di quelle verdeggianti siepi.
L’idea era divertente ma ebbe risvolti davvero imprevisti: il guaio fu che il “gigante amico” inciampò. Già, mentre scendeva in un canale di irrigazione, inciampò precipitando a braccia aperte sulle piante ed abbattendo due metri buoni di siepe.
La nostra preoccupazione iniziale fu che i contadini si infuriassero per il disastro ma tutti i presenti si limitarono a ridere divertiti del nostro sfortunato compagno. Ciò che non ci aspettavamo era che le piante, scosse dal gigante, liberassero una colossale nuvola di polline giallo che avvolse (e probabilmente travolse) il nostro povero amico: per le ore successive, nonostante gli scossoni della jeep sulle strade dissestate, il nostro gigante si limitò a sorridere con lo sguardo allegramente perso tra le colline del Karakorum. Chissà che viaggio il suo!!
Davide “Birillo” Valsecchi