Dei tre Corni di Canzo è quello che spesso viene considerato il meno importante, quello più “facile”. Sulla sua sommità, a poco più di 1230 metri di quota, è posta una grande croce raggiungibile comodamente seguendo un pianeggiante sentiero che parte dal rifugio SEV. Dopo aver superato l’imponente spettacolo della Parete Fasana ed il gruppo dei Pilastri, raggiungere la cima del Corno Orientale sembra davvero poca cosa. Sui versanti Ovest e Nord Ovest sono infatti presenti diversi facili sentieri.
Anche per noi, che proveniamo della Vallassina, il Corno Orientale è spesso poco più che un “piattone” posto ad Est dei due Corni. Spesso ne apprezziamo il valore solo risalendo dal Corno Rat per affrontare la traversata integrale dei quattro Corni. Anche in questo caso ci si avventura per lo più lungo il tratto attrezzato della propaggine rocciosa che affianca il Corno Orientale più che sul Corno vero e proprio.
Vi è un lato, un anima nascosta, del Corno Orientale che il più delle volte non è visibile e che per le sue caratteristiche è spesso trascurata se non addirittura temuta. Posta al buio dei versanti Nord e Nord Est vi è la grande parete, un’odissea di roccia liscia e strapiombante che si innalza dal ghiaione per quasi 260 metri (praticamente due volte la parete Fasana!).
E’ una parete che affascina e spaventa dove in passato sono state tracciate principalmente solo ardite vie in artificiale che i pionieri affrontavano armati di staffe e chiodi a pressione.
Domenica scorsa, seguendo nella neve le tracce del mio socio Mattia che mi aveva preceduto di qualche giorno, mi sono avventurato sotto la grande parete per “toccare con mano” la natura indomita di quel tratto di roccia. Con me c’era Andrea che, probabilmente, non è riuscito a comprendere a pieno perché all’improvviso abbia iniziato a comportarmi come un bambino la mattina di natale.
Ai piedi della parete c’era una distesa di stalattiti di ghiaccio infrante. In molti punti la parete infatti si fa strapiombante e l’acqua che cola dai tetti si trasforma in canne di ghiaccio che, con i primi raggi del mattino, si lanciano nel vuoto precipitando verso il basso.
Eccitante, davvero eccitante. La parete è liscia e strapiombante, percorsa solo in alcuni punti da bellissime spaccature che, tuttavia, sono raggiungili solo dopo aver superato placche all’apparenza impossibili. Se la Fasana era caratterizzata da alte increspature di roccia sormontate da una gigantesca onda, la parete Nord del Corno Orientale è un mare in tempesta in cui bordate paiono arrivare da tutte le parti!!
In quell’oceano Pietro Paredi ha tracciato una via dedicata a mio nonno, Luigi Paredi: con il naso all’insù verso la roccia grigia non posso che ascoltare il richiamo di famiglia.
Ma se le placche sono un rebus tutto da risolvere sul versante NE si innalza il bellissimo diedro della “Via Dell’Oro”, via tracciata nel 1939 proprio dai due fratelli Dell’Oro, Pierino e Darvino. Lasciatoo Andrea in un punto sicuro e mi sono arrampicato per un canale: trovare la piastrina che ne segna l’attacco è stato come trovare il bandolo della matassa, l’inizio di una nuova avventura.
L’inverno, la roccia viscida e fredda impongono pazienza, quando la primavera arriverà a scaldare di nuovo la parete sarà tempo di dare l’assalto al terzo Corno. La Dell’Oro e, se saremo in forma, anche la magnifica Stella Alpina e la sua strepitosa lama che corre sotto il grande tetto.
Davide “Birillo” Valsecchi