Giovedì Mattia ed io eravamo in cima al Dito Dones per la Via Lunga quando ha cominciato a piovere seriamente: costretti a ripiegare ci siamo rintanati in trattoria a Ballabio abbuffandoci per pranzo. Visto che la giornata, sebbene umida, era ancora giovane abbiamo deciso di dare una svolta al pomeriggio: “se non possiamo arrampicare all’aperto allora arrampicheremo al chiuso”. Nel nostro caso la parola “indoor” non significa “palestra” ma “grotta”.
Visto che non c’era tempo per recuperare tutta l’attrezzatura speleo abbiamo deciso di concederci un diversivo esplorativo: le miniere abbandonate del Liscione.
Risalendo da Onno abbiamo lasciato l’auto poco distante dal Cosmopolitan ed abbiamo iniziato ad inoltrarci nel bosco: dopo un paio di metri nella boscaglia abbiamo trovato la carcassa fresca di una pecora. L’animale, probabilmente investito sulla strada soprastante, sembrava un vecchio materasso a brandelli tra le piante: “…come inizio non è affatto male!”
Il Cùrlasc, l’ascia curva, serviva per aprire la via tra i rovi e come picca da “extreme tooling” sulle roccette bagnate. Dopo una decina di minuti nel bosco incontriamo finalmente il primo ingresso. Le miniere erano sfruttate alla fine dell’800 per cavare cemento giallo. Il materiale estratto veniva calato fino alla rive del lago e traghettato sui Comballi verso Mandello e l’altra sponda dove veniva cotto.
Gli ingressi nella maggior parte dei casi sono crollati e monolitiche “fette” di roccia sono collassate creando intricati e spaventosi cunicoli ormai celati dalla vegetazione. “Ticca” alla mano e cascehtto sulla testa abbiamo infilato il naso in questi cunicoli iniziando la nostra esplorazione. Non statò a dirvi dove sono gli ingressi perché sono ormai davvero mal messi (statevene alla larga!), tuttavia appena ci si addentra i tunnel sono scavati nella roccia viva e diventano solidi come un rifugio anti-atomico. Molto presto, quando gli ingressi collasseranno definitivamente, queste “cavità segrete” diverranno un ricordo leggendario custodito nella montagna e, onestamente, lo trovo un peccato.
La valle adiacente è attraversata da un fiumiciattolo e da una magnifica cascata. Tutta l’area, sebbene circoscritta a monte e a valle da due strade, è estremamente “selvatica e selvaggia”. Le cronache raccontano che qui, negli anni ‘60/’70, un giovane pescatore di vent’anni perse la vita avventurandosi tra le roccette cercando di risalire il fiume: è un posto da affrontare con prudenza e testa.
Appeso per un braccio ad una roccia mi sono ritrovato a penzolare piacevolmente nel vuoto, un colpo d’anca ed ho piazzato in spaccata i piedi in un diedro viscido scendendo poi in opposizione: a volte i passaggi migliori vengono quando meno te li aspetti…
I tunnel erano alti quasi sei metri e si addentravano nell’oscurità seguendo il percorso della “vena” di roccia. Il più lungo effettuava un paio di curve e si estendeva per oltre cento metri (110m secondo vecchi rilievi). La fine del tunnel descriveva il modo in cui erano stati realizzati: prima si scavava una nicchia nella parte alta, probabilmente alzandosi con scale di legno, e poi si scavava verso il fondo asportando tutto il materiale. Raggiunto il pavimento si ricominciava l’opera guadagnando ulteriore profondità.
Sulle pareti concrezioni calcaree e l’effetto argentato e stroboscopico che alcuni reazioni chimiche creano nell’umidità. Un mondo nascosto, vecchio ormai di quasi 200 anni e che presto diverrà uno vuoto buio e dimenticato nel cuore della montagna.
Davide “Birillo” Valsecchi
NB: le miniere abbandonate sono in cima alla lista dei posti da cui converrebbe tenersi alla larga. Mi raccomando!