«Ci recavamo abitualmente a Pianezzo con tutta la famiglia e ad un certo punto, con tanta roccia attorno, ci colse il desiderio di arrampicare. Ma a quell’epoca, mezzo secolo fa, non esisteva alcuna scuola e ci toccò arrangiarci, guardando gli altri e sperimentando in qualche modo… In un paio di domeniche apprendemmo la tecnica di calata in corda doppia e, nel 1952, misi nel cassetto la mia prima arrampicata: il Pilastro Maggiore noto come Pilastrell. Ci sarebbe piaciuto recarci più frequentemente in Grignetta (o magari più lontano…) ma i soldi che giravano erano ancora pochi e i Corni erano la meta più economica! Così, nel giro di qualche anno, ripetemmo tutte le vie, dilettandoci ad accompagnare su quelle più facili i clienti del rifugio SEV. Sì, proprio così, perché c’era gente che passava sul sentiero, ci vedeva con corde e ferramenta e subito voleva provare. E noi “Prima dovete andare e… comprare! Capito? Per il Pilastrell basta un fiasco di vino”. Così quelli sparivano in fretta e, dopo un po’, tornavano pimpanti “Abbiamo comprato questo e quello, mangiato e bevuto. Adesso dovete farci salire”. E in seguito a queste esperienze decidemmo di creare una scuola di alpinismo.»
Queste le parole di Giordano Dell’Oro, classe 1934, uno dei numerosi “pionieri” dei Corni di Canzo. Sono parole semplici ma che è facile sentire vicine. Sono passati oltre settant’anni ma sui Pilastri qualcuno, ancora una volta, torna a muovere i suoi primi passi. Quelle che seguono invece sono le parole di Luigi Corti:
«Ricordo con nostalgia, come se fosse stato ieri – e invece quanti anni sono passati -, quando nel 1937 decidemmo di mettere una croce sul GianMaria, quale simbolo della nostra fede e del nostro attaccamento alle montagne e quale punto di partenza per ciò che dei nostri sogni avremmo realizzato. A quei tempi alpinisti a Valmadrera ce n’erano pochi, e questi stessi si limitavano a fare dell’escursionismo salendo e scendendo le nostre montagne. Noi eravamo un piccolo gruppo, per di più molto giovani, e le nostre aspirazioni erano spesso derise e incomprese. “Sono degli incoscienti, delle teste matte!” ci sentivamo dire, quando, con i nostri zoccoli chiodati (che erano la nostra caratteristica) salivamo a Pianezzo dove ci potevamo esercitare sulla roccia, salendo il Pilastrello e il Gian-Maria con corde rudimentali che oggi farebbero ridere. Il nostro desiderio era di formare un’associazione di tutti gli appassionati della montagna, per poter fare cose sempre più grandi.»
La roccia osserva il susseguirsi delle generazioni e ne conserva il ricordo: è qualcosa che conforta e sprona verso il futuro!
Davide “Birillo” Valsecchi
Ps: Fabrizio mi devi una birra per il tuo ”Pilastrell” (ed anche io te ne devo una per avermici accompagnato!)