Tempo fa mi è capitato tra le mani un racconto di Mark Twight. Twight è un alpinista americano divenuto celebre per le sue scalate in velocità e per il suo libro “Extreme Alpinism: Climbing Light, Fast and High”. Il racconto in questione era la sua descrizione della salita alla vetta del Denali (McKinley) in Alaska dove, insieme ai compagni Steve House e Scott Backes, percorse la Czech Direct fino alla cima. La prima ascensione di quella via, nel 1986, aveva richiesto 11 giorni e 1000 metri di corda fissa. La seconda salita, ad opera di Kevin Mahoney e Ben Gilmore, fu compiuta nel 2000 in sette giorni. Twight ed il suo gruppo hanno percorso la “diretta ceca” in 60 ore non stop senza alcun tipo di attrezzatura da bivacco: una stramaledetta speedrun!
Voglio essere onesto, la prima cosa che ho pensato leggendo quel racconto pieno di spavalderia e sofferenza autoindotta è stato: “Ma che maledetto stronzo! Come si fa a confrontarsi con la montagna in modo così stupido!” Leggevo quelle pagine con rabbia sebbene il suo stile nello scrivere, così attuale e “punk”, mi affascinasse in modo irresistibile.
Poi mi sono imbattuto in un capoverso: ”Sono un cazzone elitario, e penso che l’atteggiamento di quelli che se la tirano per niente abbia finito per guastare l’alpinismo. Al posto di abilità e coraggio, quelli dispongono di contanti ed attrezzatura. Riescono ad arrivare in cima ma non a preservare lo stile di arrampicata che è l’unico termine di paragone per il vero successo. Un tempo la scoperta dell’alpinismo era appannaggio solo di uomini dotati di una particolare mentalità o di una forte personalità. La mancanza di sostegno sociale li costringeva ad essere completamente autonomi, a trasformare l’arrampicata in uno stile di vita, alieno alla società. A quei tempi esisteva la comunità degli alpinisti: oggi quasi provo vergogna a definirmi tale.” L’ho odiato ed amato in ogni parola ed in cuor mio sapevo che aveva tanto torto quanto ragione. Qualcosa però era riuscito a smuovere: aveva rotto un’equilibrio e dovevo cercare una forma nuova.
Contemporaneamente mi sono imbattuto nello strepitoso Kominotti ed il suo straordinario “VoglioD+”: Giak in 14ore si è sparato tutto di fila Suello-Cornizzolo (964m D+), Laorca-Grignetta (1700m D+), Balisio-Grignone (1560m D+), Versasio-Resegone (1350m D+) per un totale di 5510 metri di dislivello positivo. (Grandissimo Giak!)
Come se non bastasse ci si sono messi anche quegli scriteriati degli AsenPark mischiando le carte in tavola in maniera stupenda: partendo in bicicletta da Lecco hanno dato vita ad una romboante due giorni che, tra andata e ritorno, li ha portati in cima al Bernina. (Giù il cappello per i “faraoni” di Lecco!!)
Sono affascinato e rapito da tutto questo: loro probabilmente non capiranno mai quanto “belle” mi appaiono le loro imprese, quanto potenti siano le “idee” che vedo in esse brillare. (Bravi davvero!)
Ed ora sono qui, con la testa piena di fantasie inconfessabili per IRON FLAGHEE, il progetto per la quarta edizione de “Le bandiere del Lario”. Già, inconfessabili perché questa volta davvero non sono sicuro siano alla mia portata, questa volta sarà sfida vera e durissima.
A 37 anni non possiedo né tecnica né velocità né leggerezza, non ho un curriculum alpinistico particolarmente significativo né posso considerarmi un’alpinista moderno: “Sei un brocco, amico mio: tutto quello che si può dire di te è che sei un lottatore autolesionista che non sa abbassare la testa davanti alla fatica. Non sai fare bene nulla, sei solo capace di incasinare tutto dando la caccia ai guai”. Questo è quello che la fastidiosa vocina interiore mi ripete continuamente, ed a ragion veduta va detto! Purtroppo per lei sono intenzionato ad ascoltare un suono più profondo, meno vigliacco e più onesto, che sussurra compiacente:”24 ore, Birillo, cosa sei in grado di fare in 24ore?”.
Questa volta dovrò prepararmi e farlo come si deve, sia nella testa che nelle gambe e nelle braccia. Compagno d’avventura sarà probabilmente Fabrizio, lui è mio coscritto, ha un’esperienza di montagna quasi risibile ed è Siciliano. Lui non appartiene a queste montagne o a questo lago ed è per questo che il suo viaggio sarà “esperienza e scoperta pura”, un’emozione libera dai pregiudizi e dalle critiche indigene, totalmente rivolta al bello del nostro territorio ed alla tradizione dei grandi che tra queste montagne ci hanno preceduto.
Il mio progetto finale, nella sua ingenua semplicità, è una vera follia, un vero massacro che mi spaventa ed affascina. Ciò che mi conforta e mi sprona è la consapevolezza che il vero viaggio, la vera avventura, sarà l’insieme delle tappe che ci porteranno, più o meno a giugno/luglio, a quelle terribili/magnifiche 24Ore.
Questa, sebbene ancora parziale, è una dichiarazione di intenti: Fabrizio, tocca guardare l’orizzonte ed iniziare a darsi da fare sul serio!
Davide “Birillo” Valsecchi
Nb: vi darò qualche dettaglio in più sul progetto man mano che la nostra preparazione offrirà probabilità di riuscita un po’ più affidabili 😉