Pare che il tempo, fortunatamente, abbia ceduto prima delle mie gambe ed abbia iniziato a far cadere la pioggia. Onestamente gliene sono grato visto che iniziavo a sentirmi un po’ stanco. Una giornata di riposo forzato era proprio quello che serviva.
Nonostante tutto questa mattina mi sono svegliato presto ed ho sistemato un po’ la casa e l’equipaggiamento dopo aver fatto abbondante colazione. La pioggia oggi viene giù a secchi ma domani dicono sarà una giornata di sole stupendo: conviene quindi tenersi pronti.
A pranzo sono sceso al Sottocorona da zia Bruna e, confesso, mi sono abbuffato: polenta e frico, l’ideale per questo tempo. Per i foresti che non sapessero cosa sia il frico posso dirvi che un piatto a base di formaggio e patate ed è l’esempio più tipico del Friuli e della cucina friulana.
Sapete cosa ho anche scoperto oggi sul frico? Bhe, pare che il primo a raccontare al mondo di questo piatto sia stato un cuoco del XV secolo nella sua opera “De Arte Coquinaria”. Sapete come si chiamava il cuoco in questione? Bhe, era tale Maestro Martino da Como. Il destino ha davvero il senso dell’umorismo o è dotato di un algoritmo casuale imperfetto.
Comunque sia, dopo l’abbuffata sono tornato al mio “campo base”, ho acceso il camino e sono sprofondato nel vecchio divano guardandomi “Il buono, il Brutto ed il Cattivo” sul portatile: un pomeriggio davvero intenso e faticoso!
La piccola casetta dove sto non è molto grande ma è decisamente accogliente e sono davvero affezionato alla piccola veranda in legno da cui vi sto scrivendo e che è un po’ il cuore di tutta la casa. Sia perché è la stanza più calda (qui ci sono 12 gradi fuori), sia per il panorama che domina la valle, sia per il non trascurabile dettaglio che l’ho costruita io.
Già, ma non da solo ovviamente. All’epoca ero in terza superiore, avevo beccato gli esami di riparazione sia di latino che di matematica e per questo la mia estate era stata convertita in una specie di “campo di concentramento”: la mattina la passavo a fare ripetizioni dalla vicina (ora dottoressa) ed il pomeriggio lo trascorrevo su è giù per le travi di legno ad aiutare i due falegnami che costruivano la veranda.
In realtà mi sono divertito un sacco: lavorare il legno era uno spasso ed ancora meglio era fare l’equilibrista tra le travi del tetto. Certo, quando mantenevo in posizione le travi ed il falegname armeggiava con la moto sega pericolosamente troppo vicino alla mia testa il tutto appariva meno divertente, ma nonostante questo fu un vero sballo!
Sì, di cose strane ne ho fatte parecchie ma secondo me questa veranda è una delle più belle e concrete abbia mai fatto. Va detto che se io ho aiutato a fare la “scatola” il resto della mia famiglia ha contribuito a rendere l’interno davvero speciale. Alle pareti sono appese un sacco di cianfrusaglie che per me sono preziose come autentici tesori: cimeli, vecchie foto o anche solo oggetti insignificanti o rotti che però posseggono una storia.
E’ un piccolo museo dove sono raccolti ricordi legati alla maggior parte delle persone che conosco o che ho conosciuto: aggirarsi tra queste quattro pareti di legno è come sfogliare un libro. Si sta davvero bene qui, anche se fuori fa freddo e piove forte.
Davide Valsecchi
Alcune di queste foto ho deciso di conservarle anche qui su “Cima”, dove potrò rivederle ogni volta che vorrò: io e mia sorella “Cia”nel bosco di Tops, tutti insieme al lago Volaia prima che “Keko” nascesse, io che tengo in braccio il piccolo “Keko” (ora più alto di me) insieme a mia mamma dalle parti del Monte Rosa.