Seduto sui talloni, tra la polvere, osservo gli storpi ed i deformi che affollano questo desolato piazzale. Abbandonati, rifiutati, spesso abusati, sono stati gettati dalle loro madri, dai loro padri, dalle loro famiglie: condannati alla morte perché inadatti alla vita che li circonda.
Cosa faccio io in un posto simile? Non ero mai salito su questa montagna eppure sono oramai giorni che resto qui. Uno dei ragazzi mi vede, avrà si e no quattro anni, inizia a correre a testa bassa e travolto dalla sua stessa foga sbatte contro di me aggrappandosi con tutto il corpo al mio braccio. Appoggio la mia mano sulla testa e lascio che le mie dita scorrano sui suoi riccioli crespi.
Piccola anima inquieta perchè io e te qui siamo ora? Si stringe, affonda il viso nel mio petto in cerca di qualcosa che non credo di possedere o di potergli donare. Anche abbracciati continuo ad osservalo distante: cosa vuoi da me piccolo essere?
La sua fragilità e la sua debolezza risplendono in ogni suo gesto, il suo sguardo ed i suoi occhi sono colmi di una vulnerabilità che sgomenta. Dovresti fuggire da uno come me, perchè mi sei corso incontro? Sono un figlio di Sparta, un guerriero Lacedemone: non vedono i tuoi occhi malati l’abisso che ci separa?
“I bambini nati da entrambi genitori spartiati vengono esaminati dagli anziani e, se non giudicati idonei fisicamente, abbandonati a morire sul monte Taigeto”. Questa è la dura legge di Sparta, la legge che innalza gli uomini a guerrieri. Così il prode Re Leonida ed i suoi 300 spartani resistettero alle Termopili per tre giorni sfidando l’esercitò più potente del proprio tempo!
Ma io ora mi guardo intorno e vedo un mondo nuovo e sconosciuto. Tra la polvere di questo piazzale un prete, un medico, raccoglie e difende da oltre trent’anni gli indifendibili, coloro che noi abbiamo rifiutato. Una battaglia senza clamore vissuta giorno dopo giorno e che appare altrettanto disperata. Mi guardo attorno e mi domando: dove è la vera forza, il vero eroismo?
Misero ma essenziale, senza alcun fronzolo o delicatezza superflua, una comodità ridotta al minimo ed alla funzionalità dello stretto necessario. Questo è ciò che chiamiamo spartano. Ma spartana sembrerebbe anche la vita di questo prete nel cuore dell’Africa, una vita che resiste arroccata dietro un muro focese fatto di bambù e sabbia.
Il prete mi ha mostrato il piccolo spazio sulla collina dove ha deciso verrà seppellito il suo corpo: lui cadrà qui, senza arretrare, resisterà come un argine disperato contro una follia che dilaga e che travolge ogni cosa. Ma non urlerà rabbia conto i suoi nemici per atterrirli, non si lancerà furioso travolgendo l’ostacolo. Senza scudo, senza lancia, senza elmo: egli semplicemente resisterà amando con tutto sè stesso.
Plutarco racconta: «Uno gli chiese: ‘Leonida, sei venuto con così pochi uomini a combattere contro un’armata?’. Ed egli rispose: ‘Se pensate che sia il numero quello che conta, allora neppure l’intera Grecia basterebbe, perché è poca cosa in confronto alla loro massa. Se invece conta il coraggio, allora anche questi pochi uomini sono sufficienti’.»
Ridiscendo dal Monte Taigeto tornando tra i miei pari e agli onori che mi spettano. Spogliato della rabbia, dell’orgoglio e dell’egoismo io ora vedo la purezza di un coraggio che non possiedo e, nella mia armatura, tremo di fronte alla forza di un prete disarmato.
Anonimo Spartano
Marciamo. Per l’onore, per il dovere, per la gloria: marciamo. Nella bocca dell’inferno: marciamo. – 300, Frank Miller