La mattina era cominciata male: Bruna si agitava compulsiva facendo le pulizie per casa ascoltando Chopin a tutto volume. Affogando nella mia tazza di caffè studiavo dalla finestra le nuvole sopra il cornizzolo: il mio piano, quello per una giornata al fiume con i piedi a mollo a bere birra, sembrava sfumare mentre quello di Chopin, imperterrito, sembrava non volermi dare tregua.
Serviva un’idea:“Ti porto a vedere una grotta? Andiamo a fare due passi”. Mezz’ora dopo eravamo al Pian del Tivano, sotto il versante sud del San Primo. I prati erano falciati e questo mi dava modo di cercare con facilità l’ingresso della grotta mentre le zanzare sembravano banchettare sulle nostre braccia.
“Aspettami qui, guardo se è sicuro”. Tra gli alberi, nel bel mezzo della piana, si apre una voragine nella terra, Il buco della Nicolina, uno dei numerosi portali d’accesso al complesso intrico di cunicoli e grotte che corrono al di sotto del Triangolo Lariano. Il nome deriva dalla strega che la leggenda vuole abitasse nella grotta in tempi ormai perduti.
L’ingresso, la volta come la ricordavo, pareva essere franato e ridotto male: molta della sua maestosità sembrava andata persa. Da subito la roccia, a grandi salti, cominciava a scendere nelle profondità e sulle pareti grossi massi sembravano in procinto di lasciarsi andare alla prossima pioggia.
Accesi le due torce che avevo con me ma la loro luce sembrava essere inghiottita dal buio. Vincere le tenebre della grotta sembrava impossibile. “Vieni ma attenta! Non andremo oltre perchè è pericoloso”. E così Bruna, muovendosi con attenzione tra i grossi massi, si immerse con me nella caverna. Le avevo dato una felpa perchè il freddo, lasciati i raggi d’agosto, si faceva sentire intenso prima ancora di varcarne le soglia.
“Dicono che da qui si possa arrivare al Lago di Como, questa grotta è stata scavata dal tempo e dal ghiacciaio in tempi antichissimi. Negli anni ’60 le grandi menti volevano costruire un bacino idrico nella piana del tivano. Solo i contadini, mostrando questa grotta, spiegarono che era impossibile creare un lago in un catino buco.”
Usciti dalla grotta abbiamo passeggiato un po’ scaldandoci con ciò che restava del sole: “Si racconta di una regina, Aufreda mi pare, che moglie di Teodorico, un re Ostrogoto, avesse costruito nella piana un grande castello. Si dice che passasse le estati qui, in compagnia di un paggio ascoltando il suono della sua arpa che, la tradizione vuole, le faceva dimenticare la crudeltà del marito. Poi, una brutta sera, il re si precipitò nel castello della sposa, pazzo di gelosia, e inseguì i due nella notte per i prati e le paludi del Pian del Tivano, fino a raggiungerli ed ucciderli barbaramente. Da quella notte la regina ed il suo paggio sarebbero condannati a vagare per i boschi del luogo senza trovare la pace. A ricordo di questa leggenda, c’è un angolo del Piano che fino al secolo scorso era ancora chiamato Il giardino della Regina.”
Un bacio e tornammo a casa.
Davide Valsecchi
Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla.