Questa mattina ho aperto gli occhi e mi è tornato alla mente un vecchio compagno delle scuole. Si sedeva di fronte a me tutte le mattine. L’ha fatto per quasi cinque anni ma questa mattina mi sono reso conto che non sapevo quasi nulla di lui.
La scuola era una prigione, il nostro personale purgatorio dove trascorrere la metà delle nostre giornate. Un dovere insoddisfacente ed allo stesso tempo la migliore opportunità di incontrare coetanei in quel tritacarne sociale che è l’adolescenza.
Passavo il tempo a leggere libri sotto il banco e a fantasticare sul futuro. Quello di interessante che c’era da imparare non erano mai i professori ad insegnarlo.
Mi è tornato in mente quel ragazzo perchè ci appariva un tipo spesso insicuro, quasi effeminato e, contrariamente a noi, non aveva il giusto grado di aggressività nell’affrontare il mondo, non aveva lo stesso rude linguaggio da “scaricatori di porto mantenuti” che avevamo noi.
“Teppisti a mezzo servizio” passavamo il tempo dandoci un tono e facendo a cornate con gli altri maschi per eleggere il maschio Alfa nel nostro branco scolastico. Lui era diverso e come tale passavamo il tempo a sfotterlo.
Questa mattina mi sono svegliato e lui mi è tornato in mente, nell’abisso della mia memoria mi sono ricordato. Suo padre era morto e lui viveva, figlio unico, con la madre. Suo padre era morto ed io in cinque anni non gli ho mai chiesto come o quando. Non gli ho mai chiesto come si sentisse, non gli ho mai chiesto se avesse bisogno d’aiuto.
Adolescenti: carichi di passioni, di filosofie, di ideali e moti rivoluzionari. Stupidi bastardi ipocriti senza esperienza, pieni di paura e caricati a colpi d’ormoni. Ci sono voluti vent’anni e tanta sofferenza per capire cosa poteva provare quel ragazzo seduto davanti a me, per capire che mentre noi giocavamo la sua era una vera battaglia.
Quanti errori in quegli anni. Quante liti e quanta furia per nascondere le verità troppo spaventose da affrontare, per non accettare i limiti della propria età. Anche mio padre ha perso il suo molto giovane e di questo me no sono reso conto solo oggi svegliandomi con gli “occhi aperti” una mattina qualunque.
Mi dispiace di non avervi mai chiesto nulla, di non aver mai cercato di capire cosa provaste: [I was Wrong].
Quando ero giovane ero così pieno di paura, mi nascondevo dietro la rabbia, trattenevo le lacrime.
Era “Io contro il mondo”, ero sicuro che avrei vinto ma il mondo mi ha sconfitto, mi ha punito per i miei peccati. Mi sono sentito così solo, così insicuro. Ho accusato te invece di me stesso. Provarono a mettermi in guardia dai miei modi sbagliati ma non potevo ascoltare quello che dovevano dirmi.
Ero sbagliato. L’autodistruzione mi prese di nuovo. Io ero sbagliato. Ho capito di essere stato sbagliato, Io ero sbagliato.
Sono cresciuto in fretta, sono cresciuto duro, qualcosa era sbagliato fin dall’inizio. Combattevo chiunque, combattevo qualsiasi cosa ma la sola cosa che mi feriva era me stesso.
Ora ripenso ai miei amori, a quei pochi che ho avuto. Mi dispiace di averli feriti, ho ferito anche te?
Ho preso tutto ciò che ho voluto, messo me stesso su un piedistallo. Come puoi amare quando non ami te stesso? Era “Io contro il mondo” ma il mondo ha vinto, mi ha punito per i miei peccati.
Ho il sangue della società che scorre sulla mia faccia, qualcuno mi aiuti ad uscire da questo posto. Come può la cattiva sorte di qualcuno durare così a lungo? Fino a quando ho capito che io ero sbagliato. La sola cosa che mi feriva era me stesso. [I was wrong – Social Distortion – 1996]
Davide “Birillo” Valsecchi