Una volta a settimana affittiamo un Dalla-Dalla, un furgoncino, e ci facciamo accompagnare da Malinbu a Stone Town, la più grande (ed unica!!) cittadina dell’isola di Zanzibar. In città facciamo rifornimento di tutto quello che ci può servire per lavorare e vivere. A Kiwenga, la piccola località sulla costa orientale dove ci troviamo, esiste solo una baracchetta, quattro metri per quattro, che vende pochissime cose.
Oggi andiamo a comprare uno stabilizzatore di corrente, una batteria nuova per il generatore dell’officina e qualche bidone di benzina Diesel per provare a riaccenderlo. La luce (“humeme”) dovrebbe tornare fra qualche giorno ma dopo tre mesi di black-out il prezzo della benzina è andato alle stelle e comincia a scarseggiare. Spesso l’unica soluzione è comprarlo al mercato nero dove viene venduta a più del doppio del suo prezzo. La cosa ridicola, e che dà da pensare, è che in Africa al mercato nero fare un pieno di benzina costa comunque meno che in Italia. Qui un litro di benzina al doppio del suo valore costa 2000 scellini tanzani, un euro e venti. Un sentito grazie a chi ha governato l’Italia negli ultimi 30 anni!!
In un oretta di strada siamo in città e cominciamo ad immergerci nelle caotiche viuzze dei “fundi”, il bazar di fabbri, carpentieri e quant’altri lavorino sull’isola. Il caos è quello classico ma, una volta finiti gli acquisti, ci incamminiamo verso il mare per mangiare da un Italiano, un friulano che gestisce un locale chiamato “La Fenice”. Dopo due settimane un piatto di spaghetti ed un espesso ce lo meritiamo.
Il vecchio forte e tutta Stone Town sono stati dichiarati patrimonio dell’Unesco e l’Aga Khan ha investito molti soldi nella sua conservazione. Tutti i palazzi, immutati ed immutabili, sono protetti dai bene culturali ma la mancanza di un adeguata manutenzione li sta consumando piano piano (pole-pole). Le grandi porte di legno delle case, elemento che caratterizzava lo stato sociale dei proprietari, sono intagliate e decorate in vari stili ed alcune di loro, dicono, hanno più di 300 anni. Lo stile delle costuzioni è un misto tra arabo ed indiano con sprazzi europei risalenti all’epoca coloniale.
Nel centro del vecchio forte, di fronte ad un piccolo caffè, c’è un grande albero che in Swahili è chiamato mwarobaini (quarantana) perchè con le foglie, la corteccia e le altre parti del tronco i locali ritengono di poter curare oltre 40 diversi disturbi.Mentre Malinbu mi raccontava questa storia ripensavo ai nostri cedri: speriamo che si ravvedano e decidano di non “svendere al mercato” un pezzo della nostra storia.
Così i due “wazungu” di Asso, plurale del termine “nzungu” con cui vengono apostrofati i “bianchi stranieri”, hanno fatto ritorno con il loro furgoncino fino a Kiwenga. Appena tornati al nostro piccolo bungalow abbiamo scoperto che l’humeme (la corrente elettrica) è finalmente tornata. La cattiva notizia è che ora manca l’acqua. Non c’è mai pace in paradiso…
Un abbraccio a tutti. Vi ricordo l’incontro di Giovedì 11 in sala consiliare alle ore 20:30. Partecipate, è importate!!
Davide “Birillo” Valsecchi