Siamo a Varanasi. Siamo qui perchè di tutta l’India è uno dei punti migliori per osservare l’eclissi di Sole del 22 Luglio. Il mio disprezzo per l’ignoranza Hindù è ormai leggendario, non vi è modo di conciliare i nostri punti di vista sul mondo. Ho riflettuto molto su cosa raccontarvi di questa città sacra, non è mio interesse sparlarne. Ci sono cose che non comprendo, sono un “canta-storie dilettante” ed in questo ambiente, dove tutto mi appare ostile, il rischio di lasciarsi trasportare dall’astio per quello che vedo è alto. Per questo ho passato molto tempo sulle rive del Gange a guardare il fiume pensando a cosa fosse giusto mostrare, cosa fosse guisto raccontare.
Amici che lavorano all’Arpa, l’Ente Italiano per la tutela delle Acque, appena hanno saputo che sono a Varanasi mi hanno riempito di email. In ambito delle collaborazioni internazionali hanno eseguito molte analisi dell’acqua del Gange ed il loro messaggio era semplice, chiaro ed imperativo: “Birillo, qualsiasi cosa succeda non toccare quell’acqua!!” Io ho visto i neonati che venivano immersi, ho visto dare loro da bere quell’acqua mentre al loro fianco galleggiava di tutto.
Nel Gange i fedeli fanno le proprie abluzioni sacre e svolgono il rito della cremazione dei defunti. La cremazione è un rito funebre e come tale, anche in questo luogo per me degradato ed inquinato, merita rispetto. La morte è un passaggio profondo, non solo nella vita del defunto ma anche per coloro che gli sono stati vicino. Molti vengono a Varanasi apposta per vedere i corpi bruciare sul Gange, io non sono tra quelli ne intendevo esserlo.
Camminando sulle banchine occidentali del fiume è impossibile non essere conivolti nel rito. Io, Enzo ed il nostro nuovo amico russo Sergey siamo stati avvicinati da un tipo che, afferrandomi per un braccio, ha cominciato a strattonarmi perchè lo seguissi. Davanti a noi uno dei due punti della città dove vengono svolti i riti crematori 24 ore su 24. Sulla riva dell’acqua, in mezzo al fango, un piccolo fagotto colorato avvolto in miseri fiori, il defunto. Il tipo comincia a raccontarmi che stanno per bruciare il cadavere e che gli addetti stanno preparando la pira. Tutto attorno è la solita immondizia, non vi è niente di rituale, simbolico o spirituale in quello che ci circonda ed il mio disappunto comincia a crescere. Il tipo prosegue dicendo che quello è un luogo sacro e che è possibile guardare ma non fare fotografie per rispetto al rito. Io provo a spiegargli che nemmeno mi interessa “vedere” e che vorrei piuttosto “allontanarmi”. Lui prosegue e mi mostra un parente del defunto, se voglio fare delle foto è possibile pagandole 50 rupie l’una. Pagare per fare fotografie ad un cadavere che brucia!? Esplodo: “Ma perchè dovrei darti dei soldi mentre cucini sua nonna?!?” (What the fuck man!! Why I got to give you money while you’re cooking his grandmother?!?”)
ll tipo non si sposta di una virgola nemmeno quando uso la parola “cooking” (cucinare) e prosegue sereno dicendomi che questo aiuterà il mio karma ed il mio viaggio verso il nirvana sarà più breve. Questo scemo, davanti al cadavere di un poveretto, cerca di vendermi un paradiso che non è il mio a 50 rupie lo scatto. Nella mente ho solo due pensieri, il primo è che abbiamo smesso di pagare le indulgenze quattro secoli fa ed il secondo è il finale del Grande Lebowsky, quando il Drugo si ritrova la barba impolverata delle ceneri del proprio amico: addio piccolo principe, perchè questa gente deve rendere tutto così grottesco?
“Vaffanculo tu, lui e la nonna alla diavola!!” Provo in tutti i modi a togliermi il tipo di dosso ma senza risultato. Mentre mi volto vedo qualcosa che galleggia tra le barche e la gente che fa il bagno. La sagoma di quel misero fagotto bianco non mi lasciava dubbi sul contenuto. Era caduto in acqua un corpo? Come faceva la gente a non prestarvi attenzione?C’e’ un cadavere che galleggia!! Mentre cercavo di capire e di allontanarmi dal fumo delle pire funebri mi sono imbatutto in un fotografo francese che mi ha spiegato ciò che non sapevo. Esistono cinque categorie di morti che non vengono brucati: le donne incinta, i lebbrosi, i bambini e coloro che sono stati uccisi da una mucca o da un serpente. Per queste persone, e per tutti coloro che non hanno i soldi per pagare gli officiali, il rito funebre si riduce al semplice abbandono della salma alle acque del Gange. La maggior parte dei corpi si arena sull’altra sponda del fiume e quello che stavo vedendo era solo uno scherzo della corrente. Il francese prosegue concitato con la faccia stravolta: “Vai dall’altra parte, io non ci credevo, ma ho visto cose terribili laggiù!!”
Mi sono guardato intorno. Ho guardato tutta la gente che rideva in quell’acqua putrida, li ho visti pregare e compiere i loro riti, ho visto i turisisti che si beavano nel sole facendo foto, fingendo meditazioni yoga e facendosi dipingere con l’ennè o leggere la mano: come poteva avvenire tutto questo lungo un fiume pieno di cadaveri?! Non potevo credere a ciò che mi aveva raccontato il francese. Con Enzo ho preso una barca ed abbiamo attraversato il fiume sacro della città santa.
L’altro lato del fiume, quando è in secca, è una enorme spiaggia sabbiosa. La gente viene qui per prendere il sole, giocare a palla e per andare a cavallo. Nessuno ci fa caso ma in ogni piccola ansa del fiume, a pochi metri da dove le famiglie fanno i pic-nic, ho trovato ciò a cui non volevo credere. Ho trovato dove il viaggio di chi non viene cremato si ferma.
Ho deciso di pubblicare solo due foto. Solo due prove di ciò che ho visto, di ciò che tutti sanno e che nessuno racconta. Per rispetto per Voi e per Loro. Le sole che mi sono sentito di fare in quella landa fatta di teschi e di cadaveri che si gonfiavano tra sole e acqua, dove le spoglie dei defunti sono abbandonati agli animali randagi che ne fanno preda tra i rifiuti che si accumulano. Ci sono cose che non vi racconterò e che spero non dobbiate mai vedere: cani che mangiano i cadaveri e distese di crani tra i rifiuti e le bottiglie di plastica. Inconcepibile.
I tibetani hanno il “funerale celeste”, smembrano i cadavari e li offrono agli uccelli. E’ un rito cruento ma anche molto mistico riservato alle personalità importanti. Guardando quei corpi abbandonati sul Gange però non provavo altro che tristezza e sconforto. Come possono nuotare in un fiume sacro pieno di cadaveri che imputidriscono nell’acqua? Come può esistere nel ventunesimo secolo una città come questa che poggia la sua stessa esistenza su un fiume simile? Quale cultura o religione può non vedere la miseria, l’errore e l’orrore che mi si parava di fronte in quella infinita spiaggia colma di ossa, cani e corvi? Qual’è la morale di questa cultura così primitiva e qual’è il loro giudizio ora che sono una potenza atomica? Hanno la bomba e lasciano marcire i loro cadaveri alle porte della loro città sacra, danno da bere ai loro figli la stessa acqua in cui è imputridita la loro gente!
Enzo: “Se dai una bomba a mano ad una scimmia prima o poi toglierà la sicura e si farà saltare per aria. C’è da sperare solo che non lo faccia nel cuore del mercato.”
Questa non è la mia gente, questi non sono i miei morti e questo non è il mio fiume.Il nome del mio paese in celtico signifca “acqua buona”, gelerà l’inferno prima che io tocchi l’acqua di questo maledetto fiume e prima che io lasci che questo mondo contamini il mio!!
Davide “Birillo” Valsecchi
Attenzione: le immagini sono piuttosto forti