La situzione è questa: Brasiliana, 36 anni, lunghissimi capelli biondi fino al sedere, inguianata in un paio di pantaloni da trekking ed in giro per il Ladakh da sola da tre settimane. Questo per farvi capire il guaio che ci è presentato all’orizzonte nel mezzo di un bazar. Con un grande sorriso ci ha chiesto se ci andava di accompagnarla per 45km con un pulman pubblico a visitare un monastero piuttosto isolato nella zona a nord est di Leh. Voi, nei nostri panni, cosa avreste risposto?
Prima ancora che il sole fosse alto mi ritrovo su un pulman sgangherato in mezzo a saccchi di riso e ridenti faccie tibetane arrostite dal sole. Piano piano il pulman arranca lungo la strada verso Chemrey e dopo un’ ora di viaggio e mille fermate ci ritroviamo nel mezzo del nulla ai piedi di una collina sovrastata da un monostero bellissimo. Marina, Enzo ed Io ci incamminiamo lungo la strada polverosa salendo la scalinata che porta all’ingresso del Gompa.
Il monastero è quasi deserto ed incontriamo solo monaci felici di ospitare il nostro gruppetto. Enzo si sbizzarisce con le sue polaroid e Marina esplora ogni angolo del monastero. Io, da bravo sherpa, mi ammazzo sotto il peso dell’attrezzatura su per i gradini. La vista dall’alto valeva la fatica ed il cuore del monastero è adornato di magnifici disegni dove demoni e santi si confrontano e scontrano ( e, secondo me, in alcuni casi pure si accoppiano!!)
Ma il servizio pubblico indiano è piuttosto “appossimativo” così alle tre ci lanciamo giù di corsa dalla collina per piazzarci a quella che sembra una fermata del pulman. L’ultima corsa dovrebbe passare alle quattro del pomeriggio ma noi, in attesa dalle tre e mezza, non abbiamo visto passare ancora nulla. Un monaco ci fa capire di aspettare, prima o poi qualcosa arriverà. Alle cinque qualcosa compare all’orizzionte. Sembra un pulman ma c’è qualcosa di sbagliato in quel mezzo: le persone dobbero essere dentro e non appese fuori!!
Uno sgangherato pulmino ci si presenta davanti gremito in ogni suo posto con una quantità di gente sul tetto ed aggrappata alle porte. Marina ride allegra con quel suo modo brasiliano di fare mentre Enzo recita un “colorito” rosario che coinvolge tutte le divinità dei panteon conosciuti. Scuoto la testa, recito una silenziosa “preghierina” anche io ed isso bagagli su per la scaletta. Una volta in cima cerco posto sul tetto nel mezzo di una moltitudine di ragazzi in uniforme scolastica che sghignazzano allegri per l’inaspettata apparizione dei tre stranieri.
Il pulmino è da 30 posti ma siamo più di 30 solo su quel tetto! Allunghiamo a Marina una delle nostre giacche in goretex e prendiamo il viaggio come viene: il sole è ancora caldo ma si alza il vento e comincia a fare un po’ freddo lassopra. Metto i piedi a penzoloni lungo la fiancata del pulman, Enzo si piazza con la macchina fotografica e Marina si mette a far cantare i ragazzi, come ci resca non mi è chiaro.
Non è male quassù, il vento taglia un po’ la pelle del viso quando arrivano le folate ma non si sta male. Il panorama dei monti al tramonto è spettacolare, anche se il pulman sembra volersi ribaltare ad ogni curva alla fine ci si rilassa e ci si gode la magnifica vista e l’allegria di questa gente.
Dopo 45km ed un ora e mezza di scossoni e vento su quel tetto siamo di nuovo a Leh e , tutti assieme, ci si fionda a mangiare i momo, ravioli tibetani, in trattoria “dalle zie” himalayane.