Alla Torre Prora

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birillo«Un posto era tanto più attraente quanto più difficile era da scovare sulla carta geografica» – Todd Skinner. Il sorriso di Ivan appare tra la folla di studenti che lascia la stazione ferroviaria. Sembra un rituale ed anche la mia è forse un’altra giornata di “scuola”. Lo osservo avvicinarsi con il suo zainetto arancione e mi chiedo se il mio sia un corso “avanzato” o per “ripetenti”. Quello che facciamo insieme sembra così diverso, privo di punti di riferimento o confronto posso solo insistere in questa nostra strana avventura. All’età di quarant’anni sono nuovamente uno studente spinto dalla mia innata curiosità: forse davvero non male…

Ancora una volta avanziamo fuori sentiero, tra prati, rocce e piante sul vuoto. “Devi ringraziare tuo papà da parte mia: se da bambino non ti avesse abituato a muoverti in posti simili non potremmo esplorare insieme questi luoghi.” Sono il figlio di un cacciatore, la corda ho imparato ad usarla da piccolo, andando a pesca nel Perlo o nel Rio Avanza. Sono un figlio della foresta e delle “crete”: i miei problemi iniziano quando le pareti si fanno troppo lunghe, troppo esposte o troppo verticali.

dscf7052Finalmente arriviamo alla base della Torre Prora, un’altro spazio bianco sulla mappa dell’arrampicata lecchese. Nell’esplorazione non è possibile darsi degli obbiettivi, porsi delle finalità: ancora non sappiamo se sia possibile salire, come sia la roccia, quali siano le difficoltà. Forse saremo costretti a rinunciare direttamente all’attacco, forse dovremo dare dare battaglia per fuggire dalla parete, o forse troveremo una linea e guadagneremo la cima. L’incertezza è il primo ostacolo da superare, la prima difficoltà da accettare.

Sguero trova un punto da cui provare a salire, ci imbraghiamo e parte. Io come sempre mi guardo intorno, cerco punti di riferimento e nomi noti con cui triangolare il punto in cui ci troviamo. Nella mia mente la situazione è brutalmente chiara: “Torre Prora… questo nome ce lo siamo inventati noi: Birillo, non si può chiedere aiuto se non puoi indicare neppure dove sei. Nessuno può aiutarci, siamo soli quassù.” I suoni della città ci raggiungono ma noi siamo isolati nelle terre selvagge.

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La roccia sembra buona, grandi placche che rimontano sinuose. Sguero raggiunge un piccolo tetto con un’uscita su lama verso sinistra. Piazza le sue protezioni e fa la sua magia passando oltre. Superato il tetto cerca di rassicurarmi a modo suo: “Sembra il tetto di Apache in Antimedale… però senza chiodi!”. Chissà, forse è convinto che io Apache l’abbia fatta… L’ambiente del primo tiro però ricorda le poche vie in antimedale che ho fatto con Mattia, tuttavia da quelle parti non credo ci siano vecchi televisori da 14 pollici appoggiati sulle placche: “guardare ma non toccare”.

Il passaggio sotto il tetto è tosto, con il petto in appoggio e le mani che scorrono all’altezza delle ginocchia verso sinistra: senza il supporto psicologico della corda non credo riuscirei a muovermi. Forse è anche per questo che quando raggiungo Guero sono un po’ confuso: “Ma Ivy, quella sosta regge?” “Certo, sono due sassi incastrati: se la tiri da questa parte è solidissima, se invece tiri dall’altro lato cioccano. Se ci attacchi le staffe è A3”. Okay. Mi abbasso di un metro e giro una fettuccia attorno ad una pianticella ed attacco una seconda lounge: “Così, giusto per sfizio, non perchè non mi fidi…”

dscf7090Il secondo tiro invece è da “fight club”. Si rimonta la lama di un pilastro di dubbia stabilità in cui una rosa canina, da tronco secolare, sembra volerci mettere del suo per spingerlo di sotto. Il passo però è obbligato perchè la placca sottostante è verticale e coperta di terra: “Ivan, recupera un pochino che qui me la faccio sotto!” Riesco a rimontare e quello che mi ritrovo davanti è anche peggio (ma fortunatamente decisamente solido). Il tetto si apre in una fessura ruvida e concrezionata su cui muovere il passo per poi afferrare una lontana ma solida lama sulla destra. Ivan ha protetto con un bel fried grande ma ad incastro si è demolito le mani sulle concrezioni.

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L’alternativa è tra un passaggio molto duro e tecnico oppure un pellegrinaggio tra cumuli di rocce spaventosamente ammassate sul vuoto: “IvyBoy, qui strapiomba di brutto! Com’è la sosta?” “Tranquillo, è una bomba!”. Con le dita della destra tengo dall’alto una fessurina sotto il tetto e mi allungo oltre lo strapiombo. Con la sinistra infilo le dita dentro una fessura orizzontale ed alzo i piedi quanto più riesco sotto il tetto. Respiro, respiro. Poi stacco la destra e con una bracciata verso l’esterno le faccio superare il tetto ed esplorare l’interno della fessura concrezionata. L’incastro non mi basta, afferro una piccola concrezione e cerco di caricare il peso sulla sinistra provando ad alzare un piede. Respiro, cazzo se respiro. Soffio, mollo la concrezione e provo a spingere sul piede sinistro allungando tutto il fianco destro in cerca della lama più sopra. Non ci arrivo, devo spostare ancora il barricentro verso sinistra per pinzarla in verticale. Soffio, dannazione se soffio! Mi chiudo piccolo mentre cerco di recuperare i piedi con un movimento continuo. Sono quasi fuori, tutto sulla mano sinistra mi allungo ancora fino a prendere la lama, finalmente di piatto, finalmente con tutto il braccio appoggiato alla parete: “Uffff… accidenti”

dscf7095“Bravo Dado! L’hai tenuta in orizzontale, guarda che avambracci ti sono venuti!” La presa è buona, riposiziono piano i piedi e mi alzo con calma. Poi lo raggiungo ed osservo la nuova sosta: ”Ma davvero? Ivy questo ciocca in tutte le direzioni?!” Non gli lascio il tempo di spiegarmi per quale strana legge fisica quell’accroccio dovrebbe tenere. Mancano quattro metri di marcio prima di un un bel boschetto pensile pieno di grandi piante “Per come stiamo messi qui tanto vale che vada avanti io sto tiro!” Ivan ride divertito e mi lascia andare felice. Alle piante mi appendo finalmente a riposare ad un solido tronco e recupero il vecchiaccio.

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“Da qui si va in cresta quasi camminando” Ivan attacca al mio imbrago i friend più grossi e riparte verso la cima. La cresta, salvo un saltino roccioso di quinto (da fare in discesa), è percorribile facilmente fino al colletto. Seduti insieme sul prato ci riempiamo di pacche e strette di mano osservando la parte terminale della val Trecciola che risale verso il crinale che collega la cima Paradiso ai Resinelli. “Ivy, sai che tempo fa ho scattato dall’alto delle foto di questo posto? Ma sai che siamo davvero fuori dal mondo?” Lui se la ride divertito. Insacchiamo la corda ed iniziamo felici la lunga discesa verso casa.

Davide “Birillo” Valsecchi
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