Sguero se ne sta seduto dietro la sua birra rossa ed agita le mani davanti alla faccia di Gianka scimmiottando improbabili mosse di Karate, con tanto di imbarazzanti effetti sonori: la scenetta sarebbe anche divertente se non avessimo addosso l’attenzione di tutto il bar. “Gianka, io Ivan lo conosco da quattro anni: tu come hai fatto a sopportarlo per quaranta?” Giancarlo Bolis appoggia la sua birretta, piega la testa verso di me e sfodera un mezzo sorriso compiaciuto sull’angolo della bocca, un ghigno degno del migliore dei Clint Eastwood: “Io l’Ivan l’ho conosciuto che era giovane, quella volta con me stava abbottonato”.
Ivan mi ha raccontato spesso del suo primo incontro con Giancarlo. Una storia densa di dettagli che forse proprio Ivan dovrebbe raccontarvi nel dettaglio. Tuttavia, per sommi capi, posso farvene un riassunto.
Ivan, all’epoca era un giovanissimo arrampicatore alle prime armi ed aveva attaccato in inverno con Antonio Goi, suo compagno delle scuole medie, la Taveggia alle Corna di Medale. La parete di 400 metri allora era in condizioni d’attrezzatura molto diverse da come lo conosciamo oggi. Sua mamma, entusiasta sostenitrice delle sue gesta esordienti, lo aspettava all’allora rifugio Medale. Il giovane Antonio in serata doveva essere di ritorno a Milano per recarsi il giorno successivo prima a scuola e poi al lavoro. Al tramonto i due non erano però ancora usciti dalla via e la mamma di Ivan si rivolse a due alpinisti che scendevano dalla cima del Medale con le corde in spalla: Ermenegildo Arcelli e Giancarlo Bolis. I due, vedendo la tangibile preoccupazione della signora, tornarono senza esitazione in cima al Medale per poi calarsi con decisione fulminea verso i due ragazzi, ormai al buio lungo l’ultimo tiro della via. Ivan, trovandosi davanti Arcelli all’improvviso, si trovò spiazzato e a nulla valse spiegargli che il poco materiale a disposizione, la fatica e l’inesperienza li avevano fatti parecchio ritardare. Ivan avrebbe voluto terminare l’itinerario nonostante il buio ma non ci fù nulla da fare: dovette cedere alla furia bergamasca di Arcelli che lo legò da secondo recuperandolo con poderosi strattoni in pochi minuti fino al canalino d’uscita, senza che avesse nemmeno il tempo di protestare. All’ultima sosta conobbe Giancarlo Bolis che divertito gli faceva l’occhiolino cercando di sdrammatizzare e rincuorare i due ragazzi.
Si sono incontrati appesi al vuoto nel buio, ed eccoli ancora qui, quarant’anni dopo, a scherzare bevendo birra dopo aver aperto una nuova via. “Vedi l’Ivan non è più quello di un tempo” mi dice ogni tanto Giancarlo. Poi sogghigna “…ma forti come lui ce ne sono in giro ancora pochi”.
Ma torniamo alla via di ieri: gli oltre mille metri di dislivello per raggiungere l’attacco dovevano essere la principale difficoltà per una nuova via di cresta. “Biriz, due tiri di quarto e poi spiana…”. In realtà i tiri sono diventati cinque, un “sali, scendi e traversa” tra le guglie. La cresta, prevedibilmente, ha spianato giusto l’ultimo metro. Una via logica, mai forzata, di ispirazione classica ma tutt’altro che banale.
Durante la salita Gianka e Sguero riflettevano sui passaggi paragonandoli a questa o a quella via in Dolomiti (a me ovviamente sconosociuta). Loro erano completamente a proprio agio mentre io dovevo “far ballare l’occhio” per riuscire a stargli dietro. Quattro anni fa vi avrei detto che quello era un “inferno di cristallo”, uno spaventoso tripudio di roccia instabile. Questo in parte è ancora vero, tuttavia la mia esperienza è completamente diversa ed ora non mi sembra più follia sentire dire cose del tipo “Guarda che bella roccia solida!” mentre trattengo il fiato tra i passaggi
Una cresta, spazzata dagli elementi da tutti i lati, inevitabilmente ha una compattezza e solidità abbastanza precaria: se non avete mai sperimentato una via assolutamente inedita tra le guglie difficilmente riuscirete a comprendere l’incredibile quantità di roccia instabile che dovrete affrontare. Tuttavia, con la giusta esperienza, si impara a muoversi in sicurezza anche in uno scenario simile, anzi, si inizia ad apprezzarne gli aspetti compatti ignorando istintivamente tutto ciò che va assolutamente evitato. Non solo scegli con un’attenzione diversa cosa “toccare” ma i movimenti stessi si trasformano: i quattro classici punti d’appoggio si moltiplicano mentre “scarichi” il peso frammentandolo ed annullandolo. Una presa di dita si estende sul palmo, sull’avambraccio, diventa una torsione di tutto il corpo allungandosi fino al polpaccio che spinge lateralmente sulla roccia senza sbilanciare l’appoggio della punta del piede. Non sei attaccato alla roccia: la tieni insieme ascoltandone la resistenza. Per quanto mi riguarda il problema non è più “tenersi” ma capire quanto la roccia “ti tiene”: tanto nella posizione statica quanto, e soprattutto, nella transizione dinamica.
A volte la tentazione di appendersi ad una bella presa solida e “rasparsi su” è molto forte, ma non è mai possibile “tirare” perdendo, anche solo in parte, il controllo del movimento: si rischia di mollar giù qualcosa oppure, ancor peggio, si può avere l’istinto di “sbracciare” o “scalciare” tirandosi addosso qualcosa di grosso. Non c’è possibilità di scelta: devi “esserci” in ogni lento e snervante gesto. Un tipo di arrampicata che consuma a profusione tanto energie fisiche quanto mentali. D’altro canto tutto questo permette di sperimentare tutta l’intensa bellezza dell’arrampicata libera nella sua accezione originale (…ed è un vero e proprio viaggio fuori dal mondo!). Ammettiamolo: quando ti capita mai una “prima” su 200 metri di cresta inaccessa sulle cime delle montagne di casa?
Spesso mi chiedono dove siano queste nuove vie aperte con Sguero: purtroppo al momento è un segreto, una piccola tutela. Ivan, dopo il libro sulla Val Grande e quello più recente sulla Val di Mello, sta lavorando su due nuove pubblicazioni dedicate all’attività esplorativa che ha condotto in questi anni. Ha recentemente imparato a realizzare eBook con il preciso scopo di avvalersi di uno strumento economico ma completo per affrontare gli argomenti a cui tiene di più. Quindi sarà lui a descriverle nel dettaglio, fornendo al contempo tutti gli spunti di riflessione necessari per affrontare consapevolmente questo tipo di arrampicata oggi sempre meno diffuso. Ad Ivan non interessano le pubblicazioni catalogo, le guide censimento: nei suoi scritti c’è molto altro da scoprire.
Davide “Birillo” Valsecchi
Errata Corrige: la volta scorsa Ivan non imitava Gigi CheSbatta con la voce del Gerry, ma con la voce di Simone Servida imitava Gigi CheSbata che faceva arrabbiare il Gerry (Ivan mi ha abbondantemente stressato per questa puntualizzazione!!)