Bruna indossa solo una magliettina grigia ed un paio di stivaletti di stoffa. Piego la testa di lato per guardarle le gambe nude mentre si allunga sui fornelli con la caffettiera. Se fossi una persona assennata dovrei tornare tra le lenzuola: sono mai stato assennato in vita mia? Mia madre era convinta che mi lasciassi traviare dalle cattive compagnie, forse è per questo che ad attendermi ai piedi del Pizzo d’Erna ci sono due tipacci come Ivan Guerini e Giancarlo Bolis.
Il sole non splende come il giorno prima ed il cielo è coperto. Ivan mi vede, mi abbraccia e mi osserva un istante “Ma non sei stanco?” Venerdì ero con Mattia su Anniversario in Medale, sette ore per undici tiri, mentre Sabato ero con i ragazzi del BadgerTeam in ferrata. “Stanco? Avrò tempo domani per essere stanco: oggi si deve rispondere alla chiamata!” Scatto sull’attenti ed Ivan ride: quando faccio il serio sono particolarmente buffo.
Alla partenza della funivia Ivan e Giancarlo incontrano un uomo alto, magro e con due intensi occhi azzurri che brillano sotto una berrettaccia di lana blue: Michele Anghilleri, all’epoca uno dei giovanissimi allievi con cui il mitico Don Agostino Butturini tracciò la via “Solitudine” alla Rocca di Baiedo nel ‘78. Appoggiato ad un pilastro li osservo mentre chiacchierano, parlano del “Don”, delle vie e dei tempi che furono. In realtà sono piuttosto stanco ma basta ascoltarli per capire che vale la pena esserci.
Dalla cima del Pizzo D’erna ci abbassiamo fin sopra la Parete Stoppani superando il bellissimo e temibile camino della Panzeri. La terra è umida e le zolle sono piene d’acqua. Le possibilità di avventurarsi sulla bastionata alta sono scarse. Tuttavia questo non impensierisce i miei compagni. Stanno cercando una via mai ripetuta e per farlo sono pronti a “navigare a vista” sulla roccia finchè non ne troveranno una traccia. Tutto quello che hanno è il racconto dell’apritore, ormai ultra ottantenne, ed alcuni voci su una fantomatica foto affidata ai tempi al “Ciapin” su cui compariva la traccia.
“Andiamo su di qui e vediamo se da sopra si vede qualche vecchio chiodo” Ivan attacca una placca, si alza raggiunge delle piante. “Troppo sporco qui, faccio il giro” Si riabbassa in placca e risale a sinistra. Supera una serie di piante e scompare sulla placca successiva. Poi, dopo che la corda si è distesa per oltre cinquanta metri, chiama la sosta.
Attacco la placca iniziale. Mi alzo sulla destra e seguo una fessura sulla sinistra. Il primo friend si sfila da sè. Studio il passaggio ma ogni mossa mi sembra fuori scala: “Hey Giancarlo, mica sono sicuro di poter passar su di qui!” Giancarlo ride ma io sono serio!!
Allungo la mano sinistra stringendo con le dita in una fessura mentre con la destra cerco qualcosa da tirare o anche solo da spingere. Se non fossi legato con Ivan quel passaggio non lo proverei nemmeno, ma sono qui e questo è quello che devo fare.
Respiro ed appoggio i piedi raccogliendomi come un ragno quasi seduto sui talloni. Sono appoggiato su nulla, la sinistra stringe sulle dita, la destra è in opposizione sotto il bacino. La corda è distesa tra i rami degli alberi: se cado “lascherà” abbastanza da farmi arrivare fino a terra, e se rimango fermo troppo a lungo diverrà inevitabile finire a basso.
Sollevo con infinita lentezza la mano destra mentre tutto il mio corpo cerca di mantenere il morbido e magico equilibrio che inspiegabilmente supera la gravità. Il braccio si allunga attraversando come una cometa il cielo di quella strana sensazione che permea il momento. Le falangi trovano una tacca e tutto il corpo si rianima da una specie di torpore assecondando morbido il movimento successivo.
Con una certa sorpresa sono fuori dalla placca, attraverso le rocce rotte e supero la placca successiva. Quando arrivo alla pianta su cui Ivan ha fatto sosta attacchiamo a chiacchierare. “La placca iniziale mi ha messo in difficoltà, se non ti avessi visto passare non credo ci sarei riuscito” Ivan sorride, smette di prendere in giro Giancarlo che è incastrato tra le piante, e si limita dirmi quasi distratto “Sì, era duretta. Se fosse pulita e protetta a resinati sarebbe un bel 6b+. Speriamo nessuno la rovini.”
Nella mia mente emerge un ricordo. Qualcuno una volta mi ha detto che tirare un 7a o un 7b non è poi tanto più difficile che tirare un 6c, che è solo questione di allenamento. Mi disse che il vero difficile è passare dal 6a al 6c, perchè è quello il momento in cui si deve educare la mente a quei gradi. Quell’intensa sensazione che avevo provato sulla placca era probabilmente un’assaggio di quell’educazione che ancora mi manca, qualcosa di cui fare tesoro e su cui riflettere.
Quando arriva Giancarlo ci alziamo ancora ma di chiodi vecchi neppure l’ombra. Raggiungiamo una pianta ed organizziamo una doppia calandoci fino alla base. Due tiri nell’ignoto in cerca dell’incerto: non male, posso dirmi davvero fortunato!!
Al bar della funivia ci scoliamo una birra chiacchierando a ruota libera. “Avevi ragione Davide”– mi dice Ivan – ”l’altra volta ho visto Mattia arrampicare ed è davvero forte”. Mattia è il mio compagno di cordata ed è oltre un anno che gli sto dietro attraverso mille difficoltà. Lui tra i tanti è l’alpinista che vorrei raggiungere, che vorrei eguagliare.La cosa divertente è che, inevitabilmente, arrampicando insieme entrambi stiamo continuando a crescere e migliorare: sentire Ivan fargli i complimenti è per me un grandissimo piacere!
Davide “Birillo” Valsecchi