Grignetta: Segantini in Notturna
Abito a Caglio, a pochi metri dalla casa dove abitò Giovanni Segantini, lungo il percorso che è una mostra permanente a cielo aperto a lui dedicata. All’orizzonte davanti a me, alle spalle dei Corni di Canzo, si innalzano le due Grigne e la sera, quando il sole si abbassa, la Cresta Segantini brilla in una luce rossastra. La storia alpinistica è particolare, i primi tentativi furono infatti effettuati “dall’alto”! La prima discesa della cresta, ad opera di Giacomo Casati – in solitaria, risale al 13/03/1901. Seguirono poi altri tentativi esplorativi dal basso ed un’altra discesa ad opera di Giuseppe Dorn. Poi la prima salita integrale: Eugenio Moraschini e Giuseppe Clerici il 09/10/1905, che dedicarono l’impresa al famoso pittore espressionista, da pochi anni scomparso in Engadina. Il mio rapporto con la cresta è abbastanza strano, sebbene sia una super-classica l’ho percorsa integralmente solo una volta, in inverno con la neve, e a tratti nella parte finale uscendo dai Pilastri. Così, per colmare questa lacuna e per sfruttare tanto il dopo-lavoro estivo quanto la Super-Luna, io e Mattia ci siamo dati appuntamento ai Resinelli. Alle 17:43 abbiamo iniziato a salire verso il Colle Valsecchi lungo la Direttissima, alle 19:30 siamo all’attacco e con grande calma ci imbraghiamo iniziando la nostra salita lungo la cresta nella più assoluta solitudine verso le 20:00. Il sole ci ha accompagnato salutandoci con un intenso tramonto rosso più o meno alla base del Torrione Svizzero. Giunti al torrione della Finestra era ormai completamente buio e la roccia era illuminata solo dalle nostre frontali. Nell’oscurità il traverso che porta al Canale della Lingua – che io ricordavo come un omogeneo scivolo invaso dalla neve – è invece un susseguirsi di canaletti, detriti ed inaspettati salti: davvero suggestivo. Risaliamo la lingua in conserva, a corda distesa, fino all’uscita del Pilastro Centrale proseguendo poi per l’intaglio della ghiacciaia. Anzichè disarrampicare, con la scusa del buio, ci concediamo una comoda doppia prima di risalire l’ultimo tratto della cresta. La super-luna, come forse era prevedibile facendo due rapidi conti sulla geografia dell’universo, si mostra a noi solo in cima alla Cermenati e ci accompagna fino alla vetta. Più o meno verso le 00:30 siamo in cima, accanto alla croce, in mezzo ad una curiosa moltitudine di gente che bivacca quà e là dentro e fuori il Ferrario. La discesa lungo la Cermenati è la consueta interminabile tortura ed all’01:20 siamo nuovamente al Subaru. Il GPS sentenzia che abbiamo impiegato 7 ore e 45 minuti: decisamente lenti, anche con il buio. Tuttavia non ricordo passaggi particolarmente dispendiosi o momenti in cui abbiamo perso tempo: probabilmente non avevamo voglia di correre e, tiro dopo tiro, ci siamo tirati in vetta coccolati dal buio. Già, perchè l’oscurità ti sottrae ai vuoti della cresta adagiandoti in un mondo più piccolo, fatto di roccia ed ambio giusto l’ampiezza della luce della frontale. Quando si arrampica al buio si fa fatica a vedere dove piazzare i piedi e si va a tentoni con le mani, c’è un inconfessabile inquietudine di sbagliare strada ma, tutto sommato, si arrampica con un’inspiegabile serenità. Certo, la notte sull Pizzo d’Eghen del 4 luglio di qualche anno fa può essere una simpatica eccezione a questa regola, ma forse è proprio quel ricordo a rendere serena la nostra cordata al buio