In alto mare con Dusko

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Spellbound
Spellbound

Io ed Enzo siamo sempre in bolletta ma, necessità virtù, non difettiamo mai di ingegno. Uscire in barca sull’oceano costa al giorno dai 300 dollari in sù, ben oltre le possibilità del nostro piccolo budget che, tra l’altro, deve sostenerci ancora per oltre un mese. Tuttavia la fortuna e il “Signur di Ciöc” ci assistono sempre.

Dusko è uno slavo che vive a Zanzibar da quasi vent’anni (da poco prima della guerra in Yugoslavia) e che gestiste una barca per la pesca sportiva d’altura: la fortuna ha voluto che Dusko abitasse proprio affianco al laboratorio di Vivide e che, ogni volta che rientrava a casa, ci trovasse indaffarati con cannello e saldatore a trafficare sulle sculture in ferro. Così, qualche settimana fa, ci ha chiesto se potevamo saldargli un bullone in acciaio per la barca. Enzo, che ha lavorato anche nella nautica, ha fatto un ottimo lavoro e da quel giorno è cominciato il pellegrinaggio di Dusko con i pezzi da riparare. Da queste parti trovare un buon saldatore è raro e così, per sdebitarsi, Domenica ci ha portato a pesca sull’Oceano. Spettacolo!!

La mattina, visto che è stagione delle piogge, c’è stato un grosso acquazzone ed il cielo era grigio mentre il mare rinforzava. A mezzogiorno, quando la marea ha cominciato a salire, ci siamo presentati sulla spiaggia. Con un piccolo tender abbiamo raggiunto il motoscafo d’altura di 15 metri, la Spellbound. A bordo Dusko, Mado, il capitano della nave anche lui slavo, e tre aiutanti zanzibarini. Caricato il tender abbiamo puntato il largo attraversando con cautela la barriera corallina.

Al di là della barriera il mare si è fatto subito scuro e le onde, le ochette, si sono fatte subito sentire agitando la barca. Sono salito sulla torretta, il pulpito da dove si guida la barca, insieme a Dusko e al Capitano e mi sono aggrappato ad un montante sporgendomi oltre il parapetto per guardare il mare. L’orizzonte era grigio carico di pioggia, il mare agitato si divertiva ad scuotere la barca come una giostra mentre le onde trasformavano il paesaggio in qualcosa di vibrante e vivo. I due confabulavano in slavo fino a che Dusko, con il suo pesante accento dell’ est, mi si è avvicinato per dirmi “Reggiti Davide, ora facciamo prova motori. Andiamo un po’ più veloce”. La barca ha sbuffato vibrando e ci siamo fiondati a tutta forza contro le onde precipitando lungo i pendii e le creste. In un attimo ero fradicio, con un sorriso compiaciuto da idiota mentre me ne stavo aggrappato a godermi lo spettacolo. Quando quattro delfini in formazione sono schizzati sotto di noi saltando affianco alla barca sono quasi scoppiato a ridere: i due strampalati assesi alla conquista dell’oceano!!

Dusko, non avendo clienti a bordo, approfittava dell’uscita per testare nuovi materiali e per addestrare il suo equipaggio zanzibarino. Non dava ordini ma si limitava a fare domande in inglese ai suoi ragazzi mentre montavano tutte le canne ed attrezzavano il necessario per la pesca. Per me è stata una gran fortuna, quasi come assistere ad una lezione: Dusko interrogava, ascoltava le risposte e correggeva spiegando. Su entrambi i lati della barca hanno posizionato in appositi supporti 3 pesanti canne da pesca con grossi mulinelli. Rapala grossi come il mio avambraccio e grossi pesci come esche, mentre le lenze venivano calate per quasi duecento metri dietro la barca. Due aste di quattro metri poste ai fianchi allargavano lo spazio orizzontale in cui disporre le lenze. Quando tutto è stato pronto i ragazzi controllavano le canne mentre Dusko coordinava la barca in slavo urlando con Mado al timone: la Spellboud era pronta, tutto era preparato per catturare i misteri del mare.

Nelle due ore successive le frizioni dei mulinelli hanno dato qualche falso segnale ma senza pesce, procedavamo verso il mare aperto e la costa quasi non si vedeva più. Enzo all’improvviso mi chiama mentre si aggrappa al parapetto: “Birillo, fammi la foto mentre vomito!!” Quello stupido tirava su l’anima salutandomi con il pollice alzato come Fonzie: è proprio tutto matto alle volte!! Io invece me la spassavo standomene appollaiato vicino alle canne e sperando in qualche segnale, aspettando il grande pesce.

Dusko mi ha offerto qualche biscotto mostrandomi la carta elettronica sul computer di bordo: “Oggi giornata difficile, poca luce. Pesce non vede bene e mangia poco. Ora andiamo qui. Qui sempre trova pesce”. La barca avanzava tra le onde ed io cercavo di utilizzare tutto il mio corpo per mantenere il mio barricentro come un cowboy a cavallo. Mi rendo conto che i marinai, quelli veri, diventano un tutt’uno con la barca, sembrano immobili perchè solidali ma, in fondo, l’effetto rodeo è ciò che mi piace dell’andare in mare. Enzo, che non la smetteva di vomitare, probabilmente direbbe il contrario.

“Guarda” Dusko mi indica un punto nel mare e l’acqua si riempie di schegge d’argento. Incrociamo un branco di delfini, oltre una cinquantina, che saltano fuori dall’acqua in piccoli gruppi. Riusciamo anche a sentire il loro tipico verso mentre ci schizzano attorno.“Dove c’è delfino c’è piccolo pesce ma troppa confusione per pesce grande che scappa” Mi spiega Dusko. Poi mi viene una domanda spontanea “Ma non abboccano i delfini alle nostre esce?” Dusko sorride “Delfino troppo inteligente per nostri piccoli trucchi, lui non casca in inganno”. Meglio così.

La Spellbound procede ancora ed ormai erano due ore e passa che era scossa dalle onde. Una frizione comincia a cantare mentre alle nostre spalle qualcosa salta fuori dall’acqua in un guizzo. La Spellboud si ferma mentre i ragazzi recuperano le canne e passano a Dusko quella dove è ferrato il pesce. Dusko si piazza sulla seggiola da pesca che assomiglia, in modo vago, a quella di un ginecologo. Bloccata nella sedia, Dusko, piega la canna e facendo forza sulle gambe la tira a sè. Quando ha guadagnato filo recupera con il mulinello sporgendosi di nuovo in avanti. Ad ogni trazione e recupero tira sempre più vicino il pesce che si dibatte a quasi duecento metri di filo dietro la barca.

Quando issano il pesce a bordo è un Dorado, quello che da noi si chiama Lampuga ed in Swahili è il Pange. Pesa oltre 5 kili, è lungo quanto la mia gamba con un colore dorato ed il muso tozzo. “Questa esca funziona, ora proviamo altra” Dusko stava facendo esperimenti e per questo le catture erano scarse. Tuttavia stavo imparando un sacco di cose sulla pesca in mare e sulle manovre degli aiutanti da essere comunque più che soddisfatto. Poi è toccato a me tirar su il pesce!!

Un altro Dorado si era attaccato all’amo e Dusko mi ha passato la canna per recuperarlo: una delle cose più faticose mai fatte in vita mia!! Il pesce, che era sui 4 kili e quindi “piccolo” per gli standard locali, si dibatteva ed il peso della lenza si faceva sentire come un macigno. Facevo forza sulle gambe coordinandomi nel recupero ma la mia imperizia era tutta da vedere. Qualche giorno prima Dusko aveva catturato un Marlin di 80 kili dopo 20 minuti di lotta: non ho idea di quanto possa essere duro un simile scontro. La mente correva nei ricordi de “Il vecchio e il mare” ed il “piccolo” Lampuga diventava in un attimo un gigante tra tutte le arborelle pescate da bambino sotto il ponticello di Cranno.

La cosa buffa è che Enzo, mentre recuperavo il pesce, faceva fotografie alle mie smorfie e poi, dopo lo scatto, si sporgeva oltre il parapetto a vomitare. Ho la sua autorizzazione a scrivere che “non ha lo stomaco per il mare aperto”, però gli va dato merito di un certo spirito nell’affrontare un simile disagio. In qualche modo, il “satanasso”, se la cava sempre.

Nelle ore successive abbiamo continuato ad esplorare il mare e a testare esche con risultati alterni. Nessun altro pesce ha deciso di lasciarsi prendere e così, quando ormai il sole era tramontato, abbiamo fatto ritorno verso casa illuminando le onde con il faro. Una volta alla barriera siamo rientrati affidandoci quasi interamente all’eco-scandaglio e alle mappe per superare indenni il corallo. Sembrava di stare sull’Ottobre Rosso.

Per chiudere la serata Dusko, dopo una rapida doccia, ci ha invitato a cena cucinando spaghetti ed uno dei Lampuga. Ci siamo scolati un po’ di birre ascoltando racconti di mare e di pesca per poi crollare quasi incoscienti per la stanchezza nelle nostre brande. Mentre avevo ancora il mare nel letto e le onde continuavano a scuotermi il materasso con il “mal di terra” mi sono tornati in mente i delfini e la sensazione viva del vento e degli spruzzi d’acqua salata. Un anno fa ero in Tibet sul tetto del mondo ed oggi ero a pescare nell’oceano. Ogni tanto mi sento uno stupido che sta perdendo il controllo della propria vita, ogni tanto però diventa così intensa che è impossibile non sentirla mia. Non so cosa diavolo stia combinando ma mi piace e forse può andar bene anche così, su una barca di slavi con Enzo che vomita in mezzo all’oceano.

Notte gente, aspettando l’Africa un abbraccio da quello squinternato di Birillo.

Davide “Birillo” Valsecchi

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